lunedì 29 gennaio 2018

Io sono Heathcliff, io sono il mio mostro.

Amy Winehouse diceva:-“Quelle come me, sono destinate ad avere l’anima perpetuamente in tempesta”.

Avessi avuto consapevolezza di questa grande verità qualche anno fa, mi sarei evitata parecchie notti trascorse a piangere.
Ciascuno di noi danza con i suoi demoni, si dice così giusto? Ma quanto è necessario, invece, vivere per comprenderlo fino in fondo?
Io ho un mostro che mi vive dentro. Ecco, l’ho detto. È un mostro crudele, mi fa fare cose che non vorrei. A lungo nella mia vita, ho regolato le mie azioni sulla base dei suoi umori. Quante volte puoi morire, prima di capire di essere vivo e che le tue zone d’ombra, le tue cicatrici e i tuoi demoni sono indissolubilmente legati a te? Nella mia esperienza muoio ogni due o tre anni, solo un po’, il resto lo lascio vivo per godermi lo spettacolo. La prima volta avevo 20 anni, ho ucciso il mio primo amore nel tentativo di uccidere il mostro. L’ho fatto con crudele sangue freddo. L’ho accoltellato in pieno petto, nel centro nevralgico del suo orgoglio, preferendogli il nulla, pur di liberarmi di lui che mi amava tanto, che mi amava troppo. Che poi già dicevano che lui era un angelo e io un demone e lo stavo inquinando col mio marciume di mostro. Credevo di essere libera, lontana dal senso di oppressione che mi veniva, dal terrore che lui andasse via prima di me e mi rendesse, ancora una volta, una sciocca bimbetta di 12 anni che guarda le spalle del suo papà andare via, lontane. Chi aveva il tempo di domandarsi perché? Allora sentite cosa feci. Trovai il suo punto debole e vi conficcai tutto il mio mostro nella sua pienezza, così che fosse fin troppo facile odiarmi. Un gioco da ragazzi, veramente ben riuscito se chiedete a lui anche oggi.
Da allora, l’ho rifatto spesso. So che molte di voi, lo hanno fatto. Proprio come me.

Uccidi prima che ti uccidano. È l’abc della sopravvivenza.

Siamo le figlie di uomini che hanno avuto in sorte di essere padri e che poi, a 70 anni, si scoprono papà. Un po’ tardi, se me lo chiedete, che a quel punto sono nonni e tu non lo vuoi nemmeno più un papà, ti basta il padre di tua figlia da gestire. Il mio papà è il mostro ed è una cosa ovvia, banale e mediocre. Il mio papà, l’ho odiato con la medesima intensità con la quale lo amavo. E più mi faceva sentire un cliché banale, l’orfanella che ricerca in ogni uomo il suo papà, più lo odiavo e più lo odiavo, più l’amavo, in un’inesauribile battaglia, senza esclusione di colpi. Escluso il mio primo amore, quello che ho metaforicamente ammazzato, ho consapevolmente scelto l’uomo sbagliato. In un perverso gioco di ruoli, cercavo sempre il maschio diverso da mio padre. Mio padre è un architetto finemente istruito, molto raffinato, un artista, perdutamente innamorato delle donne, e patologicamente bugiardo. Mi è sempre stato detto che gli somiglio tanto, nel volto, nel corpo e nei modi di fare, soprattutto nel modo di amare. Ecco perché non sono un architetto e ecco perché, i miei uomini, sono stati tutti molto distanti da me. Pragmatici, risoluti, tendenti al turpiloquio e alle dipendenze. Lontani anni luce da papillon, golfini di lana e tecnigrafi e possibilmente, con le mani brutte perché, mio papà, ha delle mani divine.

Ho frequentato meccanici, camerieri, tatuatori, pittori, chitarristi, batteristi, scultori, marinai e uomini venuti da lontanissimo, studenti pessimi, pessimi soggetti, ragazzi interrotti per citare il titolo di uno dei miei film preferiti (girls interrupted ndr). Tutti uomini destinati ad entrare nella mia vita, per darmi la dolce illusione di colmare un vuoto, tranne poi disattendere il compito e sbattermi in faccia quel buco divenuto voragine.
Altro cliché banale, vi suona familiare amiche?
Questo mi faceva sentire al sicuro, perché un uomo così diverso da mio padre, non avrebbe potuto abbandonarmi. Un uomo così, non aveva il potere di ferirmi, al contrario, mi dava il coltello dalla parte del manico. Quanto è facile sentirsi forti sulla base di strumenti che tu hai avuto la fortuna di avere e il tuo avversario, no? Sì, sono stata meschina. No, non ne avevo motivo se non punire un uomo che, quegli uomini non conoscevano nemmeno.
Un uomo mi aveva torturata e resa orfana e la testa di un uomo, io bramavo e ottenevo, ogni disperatissima volta. Ho attraversato la giungla delle relazioni sentimentali con disordine e strafottenza. Sono stata una stronzetta cinica e ho fatto il bello e il cattivo tempo in ogni relazione. Ho camminato per i sentieri dei loro cuori col passo di un gigante che non si cura particolarmente dei suoi giardini.
E ho mentito. Buon sangue, in fondo, non mente. La mela non cade lontana dall’albero, vero?
La fiera delle ovvietà, non è così, amiche? Eppure, lo abbiamo fatto tutte noi del -Club delle Piccole Fiammiferaie che il babbo preferisce andare altrove, piuttosto che stare con loro-. Vero, o, falso?
Mentire a quegli uomini, per farvi amare con ogni fibra del loro essere. Mentire a voi stesse per non riconoscere subito che è tutto sbagliato.
Mentire, perché l’importante è mantenere il controllo e non consentire mai più a nessuno di abbandonarti.

Sono stata una brava bambina per il mio mostro. L’ho seguito, l’ho viziato e l’ho fatto vincere, anche quando desideravo fermarmi. Il fatto è, amiche, che per quelle come noi, le emozioni non sono un’esperienza di positiva gioia. Siamo più brave a non scegliere. A fare quelle che seguono il fato, che anche la fortuna mi ha abbandonata. Eh, già. Che codarde! Ci riempiamo la bocca di parole come amore, vita insieme, cuore, anima e poi non abbiamo le palle di guardarci dentro. Siamo spiriti pavidi. Il mondo ci guarda e pensa:-“Guarda lì che guerriera”, perché abbiamo imparato a fare chiasso, ma la verità è che quando dobbiamo parlare, ci inabissiamo. Non è vero? Non siamo brave a spogliarci davanti al mondo. Non ci piace che ci guardino.

Quando incontri un orco (ricordate l’orco del post del 14/01 ndr?) questa sensazione cambia. Quando incontri un orco, cambi prospettiva e lo capisci. È un’esperienza ad alto tasso di stress emotivo. Un maremoto interno continuo, che non lascia spazio alla rassegnazione, mai. Un bisogno imponderabile di prendere posizione, di elevare la tua mente a uno stato di perenne consapevolezza. Inizi a sentire prepotente la necessità di investigare te stessa e lui. Di nutrire dubbi. Di convivere con i tuoi dannati demoni, di sapere che sì, lo puoi fare, puoi conviverci e forse, un giorno scagliarli via senza nemmeno sapere se valga la pena farlo che, in fondo, sei quello che sei, perché lungo tutto il tragitto, attraverso tutti quei giorni hai imparato a conoscerti e, adesso, ti andrebbe bene anche essere chi sei, in tutta la tua complessità.
Incontri un orco e scopri che è la persona più vicina a quel modello di uomo che credevi vicino al tuo papà e che hai evitato tutta la tua dannata vita. Forse, sei banale anche in questo, vero? Realizzi di non poter fare a meno di farlo entrare in te perché guardando lui, vedi te, che lui è un orco, ma è anche un angelo ed è un demone come te. Puzza di vita quanto te.

E senti una vocina lontana sussurrare:-“I am Heathcliff”.
Ti ricordi che quello è amore, il resto, semplicemente non lo è. Il resto, è altro.
E allora comprendi che è tempo di essere chi sei.
Sei pronta a scegliere, il che è già di per sé una magia. Scegli una relazione nella quale, la porta è sempre aperta e ogni giorno, in due, si sceglie di chiuderla e restare dentro.

Non puoi fare altro che farti guidare.
E sperare.
Scegliere e sperare.

lunedì 22 gennaio 2018

Condivido, dunque, sono . Una guida ai tipi umani su Facebook

Sono una snob. Te lo dico subito, così non devi andare avanti nella lettura, se questo concetto ti infastidisce.
Sono una snob e, ne ho abbastanza, della gran parte dell’umanità che troviamo sui social network. Voglio dire, l’idiozia accompagna noi esseri umani da sempre, ma non neghiamo che facebook ha peggiorato a livelli esponenziali la situazione.
Se gli alieni dovessero dare uno sguardo alle nostre pagine facebook prima di un’invasione, alla fine rinuncerebbero:
-“Actarus, fa manovra con la navicella! Tanto questi scemi ci stanno pensando da soli ad estinguersi. Sono così occupati a scattarsi i selfie che si sono dimenticati come ci si bacia!”
Dico davvero, l’altro giorno leggevo un articolo che titolava più o meno così: “i giovani di oggi, preferiscono la vita online a quella offline. Si vedono poco, si baciano meno e preferiscono il sesso virtuale a quello reale”. L’articolo poi continuava sottolineando che forse, anche questo era il motivo per il calo delle malattie veneree. Un preservativo no, eh?
In ogni caso, questa storia del web ci è sfuggita di mano. Lo ha pubblicamente riconosciuto, un vecchio dirigente facebook che, in seguito ad una crisi esistenziale, si è licenziato e ha chiesto perdono all’umanità che sente di aver contribuito a rovinare. Ovviamente, si è tenuto i guadagni di questo suo crimine etico, ma si è detto molto pentito ed infelice. Che poi è la normale condizione degli esseri umani, qualcuno avrebbe dovuto dirglielo. Però, lui è pentito, infelice e vergognosamente ricco. Pora stella!

Più cresco, più mi rendo conto che bisognerebbe prendere la patente per più abilità umane, non solo guidare. Per votare ad esempio, ma questa è un’altra storia. E ci vorrebbe la patente anche per usare internet. Insomma, è vero, tutti noi abbiamo avuto i nostri momenti di disordine e delirio on line, ma se errare è umano, perseverare è diabolico. Non si tratta di voler fare l’intellettuale a tutti i costi, è proprio che stiamo perdendo il contatto con la realtà sembra di vivere un episodio senza fine di Black Mirror.
Siamo una società di nevrastenici narcisisti e gli alieni di prima riderebbero di noi perché ci troverebbero piccoli ominidi ridicoli. Pericolosamente ignoranti e disgustosamente egoisti. Pensaci, quanto è raro vedere in rete delle condivisioni che siano realmente tese all’atto della comunione? Il tasto sharing è tutta una gigantesca masturbazione autocelebrativa. Lo scopo principale di facebook ad esempio, la connessione con le gente, si è esaurita in una manciata di selfie e, ogni volta che apro l'app, mi sembra di assistere alla fiera delle vanità.

Siamo tutti dipendenti dall’economia dei like. Tutte reginette e re del ballo di fine anno di un liceo americano, ma la vita non è un mediocre film yankee e, a dirla proprio tutta, trovo deprimente che ancora non abbiamo imparato la lezione del cinema di oltreoceano, i due reali del ballo alla fine della fiera, sono adulti insoddisfatti cronici che vivono nel passato. Ma il passato non ha nulla di nuovo da offrire e allora, perché continuare a nascondersi? E invece siamo tutti lì, in rete, a fare a gara a chi ce l'ha più lungo. Facebook è davvero come un gigantesco, sterminato liceo americano e, come tale, ha anche i suoi gruppi di tipi umani.

I Narcisisti al contrario. Particolarmente comune tra noi donne. Quelle che pubblicano post intrisi di una dilagante falsa autoironia, quando è chiaro come il sole che vogliono solo essere rassicurate. Di continuo. Oppure, quelle che pubblicano mille scatti dei loro culi e poi ci piazzano la didascalia intellettuale. Quando sarebbe così bello, onesto e originale, se proprio ci vuoi mettere una didascalia, scrivere: bada che gran bel culo che ho? Oh, via. A Cesare, quel che è di Cesare. Parlo di ragazze che pubblicano foto di loro stesse in una conditio di lapalissiana topaggine, che ha richiesto tra le 2 e le 3 ore di trucco e parrucco e poi ci piazzano #OggiCosì #MakeUpFree #ComeMammaMiHaFatta . Davvero, mi viene voglia di andare ad abbracciarle: - “Oh, vieni qui poverina. Non ti preoccupare. Hai ragione, sei solo bella”. Tanto è quel che conta.
#IFiltriDiSnapaChatTisonoSfuggitiDiMano
I Girelloni. Trasversali a tutti i generi e a tutte le età. Quelli che facebook è l’album fotografico dei loro ricordi di viaggi. Peccato, si tratti solo di selfie su selfie con lontano, sullo sfondo, uno scenario diverso. Mare, montagna, Empire State Building, Tour Eiffel. Non una foto di un paesaggio. A testimonianza che il messaggio della foto è, ancora una volta, guarda dove sono? E poi ci piazzano l’hashtag #fromwhereistand oppure #greetingsfrom...
Mi domando sempre se abbiano davvero fatto il viaggio o, piuttosto, non abbiano montato un set ad hoc.
I Calimero. Anche questi tipi umani sono molto vari e valicano genere ed età, anagrafica però, perché su quella cerebrale, sembra siano tutti fermi ai 12. Quelli che ogni status è un’allusione maliziosa verso qualcuno che, ovviamente, sta facendo loro un torto. Tutti ce l’hanno con loro. Tutti vogliono fargli un’ingiustizia. Tutti vivono la loro vita pianificando come fare per distruggere la loro. #StewieGriffinForPresident
I Very Social. Quelli che…. Quelli che si iscrivono ad ogni gruppo quelli che…
#FattiUnaVita
Gli Ancien Régime. Sono i nostalgici ad ogni costo. Quelli che si stava meglio nel passato, sempre. Gente che se gli dici : -“Guarda che il poeta diceva qui e ora”! Loro risponderanno: -“Sì vabe’, ma negli anni 80…”
#SiStavaMeglioQuandoSiStavaPeggio
I Kitty-Kat. I fanatici dei gattini. Questa, è gente che mi preoccupa, eppure, ho delle carissime amiche che ne fanno parte. Cari Kitty Kat, i vostri gatti non vogliono dominare il mondo, non sono nemmeno particolarmente scaltri. Sono dei cazzo di normalissimi gatti. #FaiPaceColFattoCheHaiUnGattoNonUnPremioPulitzerInCasa
I Filosofi. Loro si esprimono solo per aforismi per altro scritti male e citazione associate, immancabilmente, al personaggio storico sbagliato.
#CarpeDiemNonLHaDettoTottiLoGiuro
I PornoFood. Non possono pensare di bere un caffè senza informare l’intero etere. Che se fanno un tramezzino devono fare avere un orgasmo multiplo a Bastianich.
#MagnateloPoiIlTramezzino
I Michael Moore Addicted. A questi il culo gli sta rubando la camicia. Le case farmaceutiche sono formate da adoratori di Satana che complottano per ammazzarci tutti. Quelli che se hai la febbre, non la prendere l’aspirina tanto è solo un’invenzione malefica dei super potenti per sterminarci in silenzio senza che ce ne accorgiamo. Sui vaccini meglio non parlarne se non vuoi essere sparato a vista, ma oh so’tutti pacifisti però.
#MaSePrendiLAspirinaComeLiFaiGliAnticorpi?
Gli Apocalypse Now. Ieri i Maya, oggi Trump e Kim, l’importante è averci l’apocalisse del giorno. Qualcosa per cui preoccuparsi dell’imminente implosione del nostro pianeta.
#TheEndIsNear
I Politically Correct che di solito viaggiano a braccetto con i politologi. Gruppo misto a maggioranza femminile, che Je suis Charlie e We are the World, We are the Children e poi ti chiamano troia se quel coglione del fidanzato ti chiede l’amicizia su facebook che tu resti lì e non sai se dargli una craniata sulle gengive, o piuttosto, darle un abbraccio carico di empatia. #WeAreTheWorldMaGiùLeManiDalMioUomoTroia
I Comunisti col Rolex. Hasta la Victoria Siempre, tatuaggio del Che, ma aiutiamoli a casa loro a questi negretti simpatici.
#NonSonoIoAdEssereRazzistaSonoLoroAdEssereUnPòNegri
I Laici. Gruppo molto vasto, che fa proseliti ogni secondo, anche ora mentre leggi. Quelli che non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani. Profondità psicologiche inarrivabili, lo so. Che tu vorresti spiegargli che non è così, ma poi ti toccherebbe tenere un paio di corsi monografici di storia antica 1 e 2.
#AllahAkbar
I Tuttologi. Oddio, questi sono buffi e sono tantissimi, più dei laici giuro. Quelli che hanno un’enciclopedica conoscenza di tutto perché hanno studiato su wikipedia e google.
#CeraUnaVoltaIlCepuOggiAbbiamoGoogle

Il punto della questione, non è tanto cliccare o meno su condividi. Il punto vero, è l’intenzione. Cosa vogliamo comunicare al mondo di noi? Cosa vogliamo lasciare al mondo? Cosa vogliamo regalare a chi ci legge? Dovremmo fare tutti un po’ di analisi, contare fino a 10 prima di condividere un qualunque contenuto e domandarci: mi è necessario farlo?

E, infine, non credere che io non abbia pensato a quelli come me. Io, ovviamente, faccio parte del gruppo dei peggiori. I Bastian Contrari. Il nostro motto è fa quello che ti dico, ma non fare quello che faccio. Siamo gli amici polemici del gruppo. Alla sala mensa del liceo americano ci trovi al tavolo dei nerds. Critichiamo l’attitudine al condivido, dunque, sono, ma, alla fine, condividiamo anche noi. È vero. Siamo tutti schiavi del faccialibro.

Tutti, a parte il gruppo dei ribelli. Dio, quelli li ammiro. Quelli che spengono internet e dicono non mi avrai mai.

Vorrei essere così un giorno, ma per il momento tocca fare i conti con la mia vanità e accettare che condivido, ergo, sono, anche io.

martedì 16 gennaio 2018

Decalogo dell'orco. Ovvero, 10 doti che al mio orco ideale non possono mancare.

Nello scorso post, ho dichiarato di non essere una principessa. Questa, è un’affermazione talmente vera, che mia figlia Virginia, anni 5, sgrana gli occhi in una smorfia di disgusto alla vista del colore rosa o di una qualunque delle Disney Princess. Lo so, che dentro, segretamente, sogna di essere Elsa di Frozen, ma il bisogno di assomigliare a mamma, è talmente forte che rinuncia volentieri ad essere una principessa. O, come fa piacere pensare a me, magari si fida talmente tanto del mio punta di vista che, se a mamma le principesse non la entusiasmano affatto, allora chi se le fila! Oh, che poi avrà tutta la dannata adolescenza per fare il bastian contrario. Zitte va, lo so da me, ripetiamolo insieme: Virginia è un essere umano distinto da te, se vuole essere una principessa, lasciala vivere il sogno, ma scusate, che male c’è a spingerla verso un modello più come dire? Cazzuto. Presidente della Repubblica, per dirne uno. Che poi bimbe, il problema delle principesse, glissata tutta la questione vestiario, acconciature e canzoncine, è il principe. Giovane, bello, occhi color cielo, calzamaglia, forte, generoso e, ultimo ma non per importanza, anche nobile. Ma che due palle! Ma a chi lo volete dare questo debito? No, grazie. A me datemelo adulto, affascinante, occhi color carbone, forte quello sì, ma che abbia soprattutto una forte, fortissima personalità, di quelle titaniche. Uno che sappia come sopravvivermi, che non si aspetti che io gli faccia da mamma, moglie e fidanzata. Il fatto è che ci ho già provato. Non mi interessa. Generoso sì, ma non fesso. Nobile? Ma anche no, a chi lo volete dare lo stress del protocollo? No, davvero i principi teneteli voi, a me datemi un orco. Bruto, brontolo e che sia mio, tutto mio. Uno con una palude simile alla mia. Una palude a numero chiuso, per intenderci. Uno che, quando ci vedi insieme, pensi: -“Guarda lì che snob quei due! Ma che stronzi!” e più lo pensi, più noi ridiamo perché in realtà non siamo snob, siamo solo molto selettivi e, abbiamo vissuto abbastanza per essere liberi dall’obbligo sociale del volemose tutti bene.
Un orco, voglio un orco. Di principi ho fatto vere e proprie scorpacciate, li ho trovati sempre indigesti tutti intrisi del loro ridicolo narcisismo. Meglio un orco, di quelli che ti restano appiccicati per un tempo più o meno lungo quanto il per sempre. Avete presente? Di quelli che non li senti in un unico punto preciso del corpo. Si dice che quando si è innamorati, si avvertano le farfalle nello stomaco ed è vero. Chi di noi, non ha, almeno una volta, avvertito quella sensazione di vuoto allo stomaco? Con un orco, amiche mie, è ben diverso. È una sensazione impossibile da definire in un punto definito, perché è talmente travolgente, da prenderti contemporaneamente cuore, stomaco, gambe, utero, olfatto e, ahimè, testa. Allora ho pensato, okay, già questa storia delle sensazioni mi può aiutare a non sbagliare, ancora. In fondo, un principe non potrebbe mai e poi mai provocare un uragano simile perché, se il suo karma è salvare le damigelle, allora, sarà geneticamente impossibilitato a travolgerle. Ed è vero. Voglio dire, mi pare logico, ma allora, come faccio a capire qual è, l’orco giusto per me? Non basta mica che sia brontolo, o rischi di trovarti con un nano di Biancaneve tra le lenzuola. E, analogamente, non è che puoi chiedere il curriculum vitae sentimentale a tutti quelli che incontri. Magari si potesse.
-Per quale posizione ti candidi?
-Principe azzurro.
- Il conto, prego.
O scene di questo tipo:
-Leggo sul tuo curriculum che tra le esperienze passate indichi fidanzate con tendenze materne?
Smorfia di disgusto. E la telecamera mi vedrebbe scappare via senza nemmeno arrivare al dolce.

Così, mi è venuto in mente di stilare, il mio decalogo dell’orco. 10 doti che al mio orco ideale, non possono proprio mancare. In ordine decrescente, anche se, nella realtà dei fatti, 10 vale 10.

10) Deve avere gusto. Un uomo che non sa vestire, è un uomo che non ama il bello. Un uomo che non ama il bello, non ama l’arte. Un uomo che non ama l’arte, non ama la vita.
Keats diceva: “Beauty is truth, truth beauty. – That is all Ye know on earth and all Ye need to know”.
9) Deve essere onesto, anche quando rischieremo di odiarci. Lo so, starete pensando e che ci vuole? Ma la verità è che l’onestà, non è mai una dote universale, né univoca. Non siamo mai, brutalmente onesti, in egual misura, con tutti. Vorrei un uomo così sicuro del mio amore e del suo amore da dirmi :- “Michela, fermati, ci stiamo perdendo”. Sarò stata particolarmente sfortunata, ma non ne ho mai incontrato uno. Alla fine di ogni mia relazione, sono, sempre, cascati tutti dal Pero. Ma sono, sempre, state enormi balle le loro. Io, non esplodo mai all’improvviso, sono logorroica a livelli patologici, se sento che mi stai perdendo, non esiste possibilità alcuna che non te l’abbia detto in, almeno, cento modi diversi.
8) Deve amare musica buona e, per buona, intendo quella che ascolto io e deve amarla dal vivo. Insomma, ho sposato un uomo che ascoltava Massimo Ranieri e acquistava su iTunes la compilation di Sanremo. Sapete ormai tutti come è finita. Voglio dire, gli voglio un gran bene, è il migliore papà del mondo, ma di musica non capiva un cazzo. Per fortuna, oggi, anche sua figlia si occupa della sua educazione musicale. Non è colpa sua. Sono cresciuta con il poster di Kurt Cobain sul letto. Avrei dovuto saperlo. Siamo ciò che amiamo. Stessa storia per il cinema.
Caro orco, se non ti piace Almodóvar, se non piangi almeno un pochino quando Penélope Cruz canta Volver; se Pulp Fiction non è un film con i controcazzi, non disturbarti a conoscermi.
7) Deve amare la lettura, forse, più della musica e, deve amare, sentire me parlare della letteratura come il Papa parla del Signore, la stessa foga, la medesima devozione. Deve voler trascorrere un’intera notte con me, mentre, tra un amplesso e un altro, gli leggo le poesie di Sylvia Plath e sì, è morta suicida e no, non è deprimente. ( E, Marina, per fortuna non sei uomo, o avremmo avuto un problema, Houston ndr)
6) Deve ridere come un cretino alle mie battute, ai mille link deficienti che mi invia la mia Giulia che io posso decidere o meno, di inoltrargli. E, deve commentarli. È un dovere dal quale non può esimersi.
5) Deve amare il cibo etnico, ma concordare che il cinese è sempre il migliore, che il giappo fa solo più fighi. Mi deve far assaggiare il vietnamita che non ho mai provato, ma alla fine deve convenire con me: il cinese è sempre il cinese.
4) Deve condividere, supportare e placare le mie turbe alimentari dai cibi alcalini passando per l’idiosincrasia verso McDonald e deve comprendere la mia ipocondria.
3) Deve stupirmi. Ogni, singolo, giorno. Mi deve tenere sulla corda. Deve sfidarmi senza temere di perdere. Deve lasciarmi essere chi sono, con tutto il mio enorme bagaglio di conoscenza senza farmi sentire in obbligo di fingere di non sapere qualcosa, per non ferire il suo ego. Deve volermi vedere risplendere nel mezzo della mia conoscenza. Deve volermi nella sua squadra, sempre perché a volte impari e, a volte, insegni e il bello è tutto lì.
2) Deve avere il sorriso più genuino, aperto e naturale del mondo perché, lo vorrò vedere ogni dannato giorno, anche mentre staremo litigando e gli dirò - ma che ridi a fare? In realtà, sarò felice di vederlo ridere. Il suo sorriso, dovrà essere la mia ancora, il punto fermo a cui far ritorno. No, anzi, dovrà essere ciò che non vorrà mai farmi andare.
1) Deve essere un cazzo di uomo di cultura con un cervello strepitoso, che ti faccia venir voglia di strapparti le mutande ogni qual volta, apra bocca.

Lo so, un orco così esiste solo nella versione BBC Wales di Sherlock Holmes perché, amico orco, se non possiedi il vocabolario, l’intelligenza e il carisma di Benedict Cumberbatch, è davvero difficile che io mi innamori di te, ma la buona notizia, è che il mio è un progetto a lungo termine. Non ho più voglia di bruciare, per questo, ti voglio regalare quello che non ho mai dato nessun principe passato da queste parti.
Nelle favole, ci hanno abituate che alle principesse prendono il cuore. La loro forza, la loro purezza, di norma, risiede lì, nel cuore, la casa del vero amore. Fortuna, che abbiamo appurato che io non sono una principessa, anche perché il mio cuore, è parecchio mal messo. Io ti voglio regalare il fulcro di me, il mio cervello, la cosa più cara che ho. In ogni sua sinapsi. Voglio prenderlo e metterlo nelle tue mani, non perché io creda che tu debba proteggerlo, a quello ci penso benissimo da me, ma perché voglio goderne con te. Voglio prendere il mio cervello, unirlo al tuo. Fonderli in un’unica mente e ridisegnare infiniti mondi, con te.
Voglio che tu beva da me, che mi usi come tua sorgente di curiosità.
Voglio darti la verità, sempre. Perché la verità ci rende liberi e io, voglio essere libera insieme a te. Voglio regalarti il lusso di sopravvalutarci, senza mai doverti ricredere.
Voglio essere il tempio della tua forza al quale far ritorno, ogni sera per meditare.
Voglio essere la risposta ai tuoi perché.
Voglio, infinitamente voglio, essere l’ultima che bacerai.
Quella alla quale offrirai per sempre da bere.

domenica 14 gennaio 2018

Dalla mia palude, alla tua. 7 momenti in cui credevo di aver bisogno di un uomo e poi ho scoperto, ma anche no!

“Quando hai bisogno di un uomo, non c’è mai”. Se sei donna e vivi da sola, sai di cosa parlo.
La prima volta che in casa scatterà il salvavita, penserai che questa cosa dell’indipendenza, non fa per te. Penserai, papà dove sei? Oppure, fidanzato, o ancora, ex marito o, forse, convivente dove sei? Chiamerai un qualsiasi uomo di tua conoscenza e lui, ti dirà che è scattato il salvavita; allora, tu penserai nell’ordine: cosa è un salvavita? E, soprattutto, dove cazzo è il salvavita? A quel punto, scoprirai di avere un quadro elettrico in casa, bypassalo pure perché lì non succede mai nulla di utile, poi mi dirai se ti capiterà almeno una volta, quando il phon fa staccare il contatore e sei in asciugamano in bagno, con una temperatura ambientale percepita di 30 gradi, di riuscire a risolvere la questione con il quadro domestico o, piuttosto, non dovrai scendere mezze ignuda tra la scale, dove la temperatura percepita sarà, invece, -4. Ogni, singola, volta. Ecco, una volta al quadro generale dei contatori, scoprirai che ce ne sono due; uno più grande e uno più piccolo. Entrambi ti appartengono, vedi? C’è il tuo nome. Entrambi, hanno a che fare con l’elettricità, sembra. Respira, non è un caso da filo rosso o filo giallo con relativa esplosione. Perfino Macgyver, non potrebbe fare nulla di più, di ciò che stai per fare tu. Non perdere tempo a chiederti cosa serva a cosa, dove trovi la levetta abbassata, alzala e corri, prima che Freddie Kruger esca dal sottoscala. Sì, perché, ovviamente, i contatori non sono mai in bella mostra. Che ne so io, in una bacheca con una mega insegna CONTATORI! No, devi sempre scendere alle catacombe del tuo palazzo, dove, già ti immagini viva una colonia di ratti transgenici democraticamente organizzati in una monarchica Repubblica con Donald Trump come Presidente. In ShitHole We Trust.
Insomma, bimba, prima regola per vivere da sola: TUTTI GLI ELETTRODOMESTICI CHE GENERANO CALORE, non possono essere accesi in contemporanea. O ti asciughi i capelli, o avvii la lavatrice. Il Medioevo proprio, lo so.
È vero, non c’è un uomo nel raggio di un chilometro, ma la buona notizia è che non ne hai bisogno. Io sono andata a vivere da sola con una bambina di 5 anni e un cane petomane, lo scorso maggio. All’inizio, molte erano le cose che mi spaventano. Eppure, man mano che i giorni passavano, gli scatoloni del trasloco si svuotavano, gli spazi mi diventano familiari e le luci diventano quelle giuste. Non è stato semplice. Sono stata per 28 lunghi anni la figlia di, per poi diventare subito la moglie di e la madre di. Non ho mai avuto la possibilità di essere consapevole di me stessa, dei miei pregi, pochi e dei miei limiti, infiniti. Questa casa è stato un dono.La mia palude, solo mia. In questa casa è iniziato il mio viaggio e lungo il mio tragitto, ho stilato una lista semiseria, di tutti quei momenti nei quali avrei, d’istinto, voluto un uomo accanto, ma a ben pensare, anche no. Alcune di voi, probabilmente, avranno avuto le stesse epifanie.
• Quando compri l’acqua e ti tocca portarla su. Tranne poi, che un uomo, 80 volte su 100, te la lascia all’ingresso e, alla fine, ti incazzi peggio, perché pensi, cosa diamine ti costava mezzo metro in più? A quel punto, ti compri l’armonizzatore T-sonik, come ho fatto io e l’acqua, non la compri proprio più.
• Portare la spesa in casa. Duecento buste, che segano le dita della mano e bloccano la circolazione. È un punto dolente, lo riconosco. Pensa positivo. Questa, è l’occasione in cui puoi imparare a fare la spesa. La regola principe è super semplice: se pesa, non lo vuoi.
• Riporre le decorazioni natalizie sopra l’armadio. Certo, è altamente probabile, che un uomo trascorrerebbe i tre minuti netti dedicati alla suddetta operazione, lamentandosi perché hai osato smuoverlo dal divano quando tu, nel frattempo, hai smontato l’albero, riposto le palle del Natale, ogni anno più grandi, delicate e, inesorabilmente, rotte e messo via le lucine. A quel punto, bimba, fatti un piacere. Chiama un’amica e fatti dare una mano. Stai pure certa, che lei lo farà volentieri senza emettere sbuffi e, dopo, avrai compagnia per un aperitivo.
• Piegare le lenzuola. Ok, questa all’inizio la risolvi appallottolando, poi, come per il resto delle cose della vita, impari che tutto, anche piegare le lenzuola, lo puoi fare da sola, basta sapere come. O così, o vai su youtube, che un video tutorial lo trovi. Sicuro.
• Cambiare il copripiumino di Ikea al tuo letto. Come sopra, ma molto, molto peggio. Amica, su questo punto, fai pace col fatto che lo metterai una merda e dovranno passare almeno due notti, perché il piumino si distenda per benino. Accendi i termosifoni e non ci pensare. O, ancora, metti un pigiama più pesante. Vedi? Hai infinite, altre, possibilità. Ancora, non ti serve, per forza, un uomo. PS i disegnatori di Ikea sono delle vere merde.E sono tutti uomini. Per forza. Il Nord Europa paritario, vive senza ombra di dubbio, fuori dalle camere da letto.
• Riscaldarti i piedi appena entrata nel letto. Riconosco che su questo ci sto lavorando. Avevo pensato di comprare lo scalda-sonno, ma mi piace entrare nel letto freddo e poi riscaldarmi pian, piano. Per ora uso la tecnica Dog-Heater. Prendo il mio cane e lo metto ai miei piedi. Non è lo stesso. È vero, riscaldo un po’ i piedi, ma non saprei spiegare perché, si ghiaccia un poco il cuore. Ma sono ancora in via sperimentale.
• Quando devi portare il cane a fare pipì alle 7 di mattina e non vuoi lasciare tua figlia di 5 anni da sola in casa. Ecco, in quel caso farebbe comodo un uomo in casa. Lui potrebbe portare giù il cane e tu, per gentilezza, preparargli il caffè. Ma nella realtà dei fatti, è altamente probabile, che l’uomo starebbe nel letto a dormire, mentre, tu porteresti il cane giù, quindi, fai come ho fatto io, educa il tuo cane a pisciare dopo le 9 del mattino.


Vedi amica, dal punto di vista pratico, ti puoi bastare. Anzi, dal punto di vista pratico, è senz’altro così. Non è questione ipotetica questa. Certo, è più difficile, ma non è impossibile. La storia per la quale devi essere suffisso di qualcuno, è una bugia che ti hanno raccontato fin da piccola, per vederti camminare dritto senza troppi scossoni. Probabilmente, avessero capito fin da quando eri piccina, il turbamento inenarrabile che sei, ti avrebbero evitato tanti errori. Il casino vero è quando, capito chi sei, individuato dove vuoi andare, annusato il profumo che ti richiamerà sempre, incrociato lo sguardo giusto e ascoltato quella voce che non potrai più dimenticare, dovrai trovare il coraggio di rimanere fedele alla donna che sei diventata a casa tua, nella tua palude. Dovrai trovare la forza di non perderti, di non snaturarti mai più. Di non mortificare te al prolungamento di un altro essere umano, ma soprattutto, dovrai essere così coraggiosa da aprire la porta della tua palude all’orco giusto, quello che sovvertirà ogni singolo punto della lista semiseria e ti farà rivalutare l’intera categoria uomini. Allora, amica, rischierai il paradiso in terra. Ma fino a quel giorno, continua a cercare, non ti fermare a guardare il primo principe, ne hai avuti a sufficienza e, alla fine, sono tutti rospi! Cerca l’orco, cambia gioco. Non sei una principessa, non hai bisogno di un principe, tu!

Arriverà, quel momento arriverà, ora però, chiudi la porta di casa e goditi il silenzio della tua palude.
Te lo sei guadagnato.

mercoledì 10 gennaio 2018

Fenomenologia del Ser e dell'Estar nella lingua spagnola e, come applicarla, al concetto di Amore.

L’amore non basta. Non so più in quante lingue, ci sia ancora bisogno di spiegare questo semplice assioma.
L’AMORE NON BASTA, o se preferite, L’AMORE FINISCE, o più cinicamente, L’AMORE NON ESISTE DOPO I 20 ANNI. Smettiamola di stare a pettinare le bambole.
L’amore, come ce lo raccontiamo, non esiste. Quello, al limite, si chiama innamoramento e, i cervelloni del MIT hanno anche già dimostrato, che dura al massimo un paio di anni.

Amici, siamo italiani, la nostra lingua è tra le più variegate e perfette al mondo. Usiamo i termini giusti.
Un uomo meraviglioso, una volta mi ha detto: la differenza che corre tra amare ed innamorarsi, è, esattamente, quella che corre nella lingua spagnola tra il verbo Ser e il verbo Estar. Entrambi, possono essere tradotti con il nostro essere, ma nella realtà, in spagnolo, l’uso del verbo essere segue due rigide vie, quelle, appunto, di ser y estar. Per un italiano, questo è il punto più problematico della grammatica spagnola. Estar, è transitorio. Oggi è così, domani non si sa. Ser, invece, è imprescindibile dalla tua condizione di essere. È intrinseco al tuo nucleo. Definitivo.
In questa metafora, innamorarsi è temporaneo, è figlio dell’estar. Oggi, ora, qui. Domani? Amare, presuppone, agli occhi di un italiano, la stessa perentorietà del verbo ser per uno spagnolo. Così è e così sarà, per sempre. Curioso che per gli spagnoli però, si dica solo- estar enamorado e mai e poi mai, soy enamorado, perché, quando anche duri molto a lungo, alla fine questa condizione perirà. Ed è ancora più paradossale, che una delle caratteristiche più definitive di noi umani, la morte, sia, in spagnolo, comunque, sorretto dal verbo estar. Si dice, -està muerto e non, -es muerto. Forse, avrei dovuto rispondergli così.

In ogni caso, non so se sia davvero come diceva lui. Me lo chiedo ogni giorno. Ovvio, sarebbe bello pensare all’amore come un porto sicuro dal quale non esci più, ma mi sembra, mio malgrado, un’idea bizzarra. Intrinseco. Che appartiene alla cosa in sé. Che entra nella sua essenza, che procede dalla sua intima natura. Ah certo, certo, come se a 35 anni fosse davvero possibile trovare qualcuno che procede dal suo nucleo al tuo nucleo in un processo di quasi metempsicosi senza snaturarsi! Come se a 35 anni, uno davvero può andarsene a giro per il mondo, sperando di incontrare uno/a che ti comprenda al di là di sé stesso. No, dico, ma siete seri?
Almeno nella temporaneità dell’estar, che a un italiano ricorda più lo stare che l’essere, definiamo una condizione che, nel momento stesso in cui la enunciamo, è vera al 100%. Sono innamorata di te e, in questo momento in cui te lo dico è: liberatorio, vero, profondo, devastante, doloroso, appassionato e forte. Per paradosso, mi è quasi intrinseco. E boom, bada come ti risolvo l’amore!
L’importante, sarebbe conservare l’onestà intellettuale di non promettere.

Le promesse sono arme letali. Uccidono il sentimento, violentano il desiderio perché, sottintendono un senso di responsabilità del quale, le nostre vite di adulti, sono già fin troppo impregnate. Per questo, l’amore dopo i 20 è una leggenda. A 35 anni, non è come quando a 20 anni sei responsabile solo per te stessa e, a dirla tutta, se si osserva, per esempio, la mia vita a 20 anni, neanche tanto. A 20 anni per sempre è davvero per sempre. A 20 anni per sempre è l’unica condizione che ti sembra possa avere senso nel tuo sentimento. Perché ami davvero. Sei nell’essere, nel ser. È un amore intrinseco, totalizzante. È definitivo, tranne poi, inevitabilmente, finire, perché siamo umani. Ma quel per sempre è, per sempre, dentro te. Non è forse vero che il primo amore non si dimentica? A 25, hai preso qualche batosta, ma ci credi ancora, perché Jane Austen ha creato quel cazzo di Mr Darcy e tu non puoi rinunciarvi. A 30, inizi a pensare che, forse, per sempre no, ma almeno un paio di anni. A 35, sei mesi ti sembrano la promessa di fedeltà di un uomo, che davanti a Dio, ti giura di amarti fino alla morte; lo guardi mentre ti offre il caffè e pensi: che si fa? Si fa? E il tuo per sempre, si ferma in quel bar, a baciare quella tazzina di caffè fumante, perché all’uscita non sarete già più gli stessi. Sì, è così. Non provate a negarlo. L’amore a 35 anni è tutto un: “Ascolta io ho da fare, che fai mi cammini accanto sì o no? Perché io non ho tempo e voglia di fermarmi a guardare se ci sei o sei caduto”? Ci camminiamo accanto. Non insieme. Il problema del camminare accanto a qualcuno è che, il percorso può essere meraviglioso, a patto che si mantenga lo stesso passo, lo stesso ritmo. Spesso però, accade che uno dei due inizi, a camminare a passo più svelto o, che l’altro inizi a rallentare, quello che conta, è che il ritmo dei passi non è più dettato in due tempi armonici, ma diventano due assoli e, allora, camminare l’uno accanto all’altra, non ha più senso.
Il problema delle relazioni, di quelle in cui ho sempre vissuto io, è questo. A voler proprio essere onesti, non è che possa biasimare chi ci ha provato a restare nella mia vita.
Il problema delle coppie nelle quali esisto io, sono, appunto, io. E non è che voglia fare la maledetta a tutti i costi. Non è che io cerchi una scusa da- ”ti lascio, perché ti amo troppo” no, è, piuttosto, una sopraggiunta consapevolezza di chi sono. Uno straordinario, tanto atteso, dono del 2018.

Vedete, sono una persona più comune del normale. Molti di voi si ritroveranno in quel che sto per dire, il problema, quello che mi rende patologica, è come reagisco alle mie stesse azioni.

In campo sentimentale, ho una pessima abitudine, lego a me i cuccioli randagi; di base, perché sono una randagia anche io e per la proprietà commutativa non riesco a vedere altri risultati se non randagio+randagia= piccolo randagio non più randagio.

Li prendo dal ciglio delle loro vite, li faccio entrare nella mia, poi prendo il mio cuore per intero e lo metto al centro perfetto delle loro mani. Lo faccio con scienza. Lo faccio per renderli consapevoli che anche un randagio, può prendersi cura di un cuore e, in quel momento, ci credo. I miei bisogni si allineano ai loro. I miei desideri si nutrono e si amplificano attraverso i loro. Ogni volta, ogni singola volta, che ho lasciato entrare un uomo perché mi sembrava abbastanza irruente da volermi con l’energia giusta, alla fine, è stato così. Non sapevo quale “cammino di fede” avremmo intrapreso insieme e viaggiavo nella nostra relazione nella totale inconsapevolezza di me e di loro. Il conto, inutile a dirsi, mi è sempre stato presentato alla fine. Salato. Il casino, è che quando vivi per dare agli altri quel che vogliono o, quel che tu credi sia giusto loro vogliano, arriva sempre il momento in cui, quella cosa gliel’hai data, o se la sono presa e tu, non puoi fare altro che domandarti – e ora? Ed è come un ceffone in pieno volto.
Come un interruttore delle tue emozioni, che quando incontri il randagio lo spegni perché –ho già l’empatia che me ne faccio anche delle mie emozioni? Poi quando lo riaccendi (e lo riaccendi sempre, fidatevi) tutto torna in memoria come un boomerang; ti guardi da fuori e ti domandi- ma dove diamine ero?

Metti i ricordi emotivi in fila. Uno dietro l’altro. Riprendi coscienza di te e scopri che sei emotivamente vuoto. Scopri che non hai più niente da dire. Ma, a quel randagio, hai promesso castelli e bimbi belli e ora, sei in una situazione che gli antichi romani avrebbero descritto come del cazzum.
Ora è dura, non è vero, dire -amici come prima?

Per questo sono sempre rimasta nello estar enamorada. Forse, avrei dovuto rispondergli così.

Il problema con quelli come me, è che noi diamo, ma non prendiamo, perché ci sentiamo dei cazzo di super eroi. Siamo mossi da due motori e solo due: orgoglio e dignità. Questo, ci impone di pensare che, chi ci sta di fronte, sappia chi siamo e cosa vogliamo. Ve lo ricordate quello che vi ho detto all’inizio di questo lungo, estenuante post? Dove lo trovi a 35 anni uno capace di comprendere tu chi sia al di là di sé stesso? Ecco, il problema di quelli come me, è che noi, invece, vogliamo quel tizio lì. E siamo così occupati a risplendere, a fare le meraviglie nelle vite altrui, che non ci occupiamo di fare conoscere noi stessi a chi ci sta di fronte. Li ascoltiamo, li nutriamo, realizziamo le loro grandezze e li facciamo rimbalzare sulla scocca più esterna di noi.
L’orgoglio dell’essere sempre magnifici ce lo impone. Se non chiedi, anzi, se non fai le domande giuste io non ti dico chi sono perché, allora, non ti interessa. Ma ci interessa, è chiaro come il sole. Ci interessa che vogliate sapere. E forse a voi interessa, ma non come noi vogliamo che vi interessi, con la fame di sapere ogni singolo elemento di noi. Con la possibilità di sentirci vivisezionati. Messi sotto il microscopio, perché sei il più magnifico rompicapo che mi sia mai capitato. Con la possibilità di sentirci inseguiti, ma non braccati. Con la possibilità di tacere e di avere la certezza di essere compresi. Con la possibilità, di smetterla di dover dire, - estoy enamorada per poter dire, una volta, almeno una volta, - te amo.

E, sì, non ho detto te quiero, di proposito. Forse, avrei dovuto rispondergli così.

martedì 2 gennaio 2018

La spada nella roccia, ovvero, come riconoscere il tuo scudiero durante il 2018

"Si narra che un dì l'Inghilterra fiorì
di audaci cavalieri;
il buon re morì senza eredi e così
agognaron tutti al poter.
Soltanto un prodigio poté salvar
il regno da guerre e distruzione:
fu la spada nella roccia che un bel dì
laggiù comparì"


Ma senza andare troppo lontano, amica, dal nostro comodo divano, iPhone alla mano, chiama qualche altra ragazza e prova a seguire il mio ragionamento.
Lo so, oggi è 2 gennaio e ti starai chiedendo, quale proposito attuare nel nuovo anno, dei mille pensati. Alcune di noi resteranno le stesse di sempre, al limite, che cambi il mondo, giusto? Altre come me, saranno da due giorni a stilare, con la propria migliore amica, liste infinite di buoni propositi, o come li chiama la mia Giulia, decreti legislativi del nuovo anno. E, amica, credimi, non ha scelto le parole a caso. Quello che stai per leggere, è un brevissimo compendio sulle scelte sistematiche, che dovrai compiere quest'anno. Chi la conosce, sa a cosa mi riferisco. Giulia è una psicologa. Ma dire psicologa, quando si parla di lei, è un tantino riduttivo. A me piace più pensare a lei, come una cardiologa delle emozioni. Lei sta. Nel bel mezzo delle emozioni lei ci sta e non per scelta, quanto, piuttosto, perché non può farne a meno. Se avete voglia di conoscerla, immaginatevi un fiore, ma non una rosa da giardino inglese, o una semplice margherita di campo bella perché è bella come il sorriso di un bimbo. No, Giulia è bella più della norma, perché lei se l'è guadagnato il diritto di essere bella. E' una yogi della bellezza, in perenne contemplazione della vita e dei suoi paradossi. Se deve essere fiore, lei per me è un cazzo di papavero di campo: selvaggio e aristocratico, che lo vedi spuntare dalla giacca di un dandy o, un fiore di loto, che sta ritto ed orgoglioso sul baratro di un acquitrino. Ecco, una mente così ha pensato con me, ai decreti legislativi del 2018: come sopravvivere ad altri 365 giorni, di doppie spunte che non diventano mai blu.

Decreto legislativo (da ora in poi DL ndr) 1/18 STAI FERMA. Smetti di fare tutto tu. Siediti e guarda. Fai fare a lui. Non servigli sul piatto d'argento: risposte, parole, gesti e finanche il tuo cuore. Smetti di controllare quel cazzo di whatsapp. Non rileggere più le conversazioni, tanto non cambiano. Serve solo a farti del male e lo sai. Se davvero ti vuoi bene, entra nella privacy e nascondi la notifica di lettura. Te lo meriti il doppio brivido del mi avrà letta/o? Liberati, almeno in parte, del controllo del mondo sui tuoi tempi di digestione di un'informazione e di reazione. Ti chiameranno snob. Sappi che è un maledetto complimento.

DL 2/18 Non aver paura di cercare. CERCA, è il tuo mantra del 2018. Cerca, cerca, cerca. Cerca te stessa prima di saltare da una storia a un'altra, prima di rimbalzare da un uomo all'altro o rischierai, di non sapere mai se quello che vuoi, è il risultato di un tuo desiderio o, piuttosto, della tua voglia di libertà. Cerca il tempo di conoscere l'essere umano che sei. Non avere timore della solitudine, al contrario, cercala; apprendi l'arte del silenzio, perché l'amore parla piano, non urla mai, occorre avere un buon udito.

DL 3/18 esci dalla tua zona di conforto, ORA. Accetta il rischio di non essere apprezzata, non combattere il vecchio e saggio detto, secondo cui, non puoi piacere tutti. Fai pace col fatto, che ad alcuni, non piacerai e questo, non ti riguarderà minimamente. Non sforzarti. Esci dall'idea di essere in performance tutto il tempo o, alla fine, lo stress ti consumerà e ti troverai, ancora una volta, a dover chiedere scusa per essere tu, quella a non amare più.

DL 4/18 Smetti di aprire la porta, amica. Tu sei il tuo tempio. Decora le tue stanze con cura. Resta chiusa dentro te a doppia mandata, "in-svelata" il tempo necessario a comprendere chi ti sta di fronte. Datti davvero la possibilità di conoscerlo. Non sei quella stronza di Rapunzel. Non sei prigioniera in una torre e non hai lunghi capelli da sciogliere a quella faccia di criminale perché ti porti via. Se non ti piace dove sei, spostati. Non sei un albero. Aspetta seduta sul tuo di divano. Indossa le tue scarpe migliori, versati da bere e guardalo, mentre ti chiede di conoscerlo. Gli stai facendo un cazzo di regalo. Non lo dimenticare. Non capita tutti i giorni di conoscere TE. Lascialo sulla porta. Prenditi il tempo che ti serve per capire cosa offra. Se andrà via prima che tu capisca, saprai che non aveva doni per te. Forse, li conservava per qualcun'altra. E, solo quando sarai pronta, se mai tu dovessi esserlo, invitalo ad entrare. Se entra a piedi scalzi, è quello giusto. Ricorda amica, che sei tu la padrona. Lui è l'ospite, che tratti, dunque, i tuoi pavimenti, con rispetto e delicatezza. Specie quello pelvico, ché noi si sa bene, che è proprio da lì, che si comprende un ospite e le sue intenzioni.

Avevamo iniziato questa chiacchierata così, te la ricordi la spada nella roccia? Ti ricordi di Semola, il giovane scudiero senza la minima fiducia in se stesso? Il giovane ciondolone dagli abiti troppo grandi per lui, lo sguardo da sognatore e mille domande per Merlino ed Anacleto, il gufo?
In quanti avevano provato prima di lui ad estrarre la spada dalla roccia?
Alti, aitanti, valorosi, mercenari. Tutti ci avevano provato. Nessuno vi era mai riuscito. Poi, un giorno, senza alcun preavviso, senza fanfara o corteo, senza armatura, arriva lui, Semola. Un pò di furia, a dirla tutta. Ha bisogno della spada per il cavaliere, suo padrone e, con un unico, semplice gesto, naturale come quello che compiamo per bere, egli estrae la spada dalla roccia. La purezza del suo cuore e la generosità del suo gesto gli erano bastate. Le sue intenzioni. Le intenzioni muovono il mondo, amica. L'intenzione di far del bene. L'altruismo di un gesto disinteressato. Così il giovane scudiero Semola, diviene Re Artù, il re magnanimo e coraggioso.
Ecco, noi donne siamo come quella roccia. Prova a pensare alla stanza di cui parlavamo prima. Pensa al tuo cuore e pensa alla tua stessa sessualità che è il dono più intimo di te che potrai mai fare. Lo so, troppo spesso non ci pensiamo.

In quanti sono passati per quella stanza? In quanti, quella porta che tenevi sempre, o, troppo aperta, o, troppo chiusa hanno pensato di doverla sfondare? In quanti, ti hanno convinto che nella forza che impiegavano su di te, risiedeva lo spessore della loro passione e dell' interesse e, non la solitudine dei numeri primi, che hanno terrore a restare soli e nutrono, la necessità di sentirsi proprietà di qualcuno e, al contempo, padroni di quel qualcuno per dirsi vivi?
In quanti ti hanno trivellato con lo stesso impeto cuore e vagina, come se dovessero ricercare amore o petrolio, per loro fa lo stesso.
Quanti condottieri e valorosi guerrieri si sono nascosti dietro la forza e l'orgoglio, facendoti sentire, non si sa bene perché, sbagliata?!
In quante occasioni, hai dovuto abbassare l'asticella e hai rinunciato a cercare un uomo che saltasse, invece, al tuo livello?

E se un giorno dovesse arrivare il tuo Semola a dimostrarti, quale prodigio, quale meraviglia sei?
Se un giorno il giovane Semola dovesse bussare alla tua porta, saresti in grado di lasciarlo entrare? Perché, amica, il rischio è che, nel passare da un prode guerriero ad un valoroso cavaliere, noi ci si faccia sfuggire il giovane Re Artù. L'uomo capace di farci fare click senza imprimere la minima forza.

Lo so, non è semplice dopo i 30 stare ferme ad aspettare che Semola arrivi. Siamo adulte finite e compiute. Siamo quelle del 33, 33 3 33 (vedi post dell'otto dicembre scorso ndr). Soprattutto, non è così sottinteso che noi si sia pronte a lasciare entrare Semola, con il suo carico emotivo impossibile da gestire. Impegnativo, autentico sempre lì a farci domande. Eppure, Merlino dice a Semola/Artù

-Vedi giovanotto questa faccenda dell'amore... è una cosa potentissima!
-Più forte della gravità? Chiede Semola/Artù
-Bè, sì figliolo, in un certo senso... io direi che è la forza più grande sulla terra!

E aveva ragione, Merlino. L'amore, alla fine, può tutto per questo, il mio augurio per il 2018 è che tu riesca ad attuare almeno il

DL5/18 LASCIA ENTRARE L'AMORE. Riconoscilo, è facile. Sembra, che sia negli occhi di chi ti chiede il cuore e poi lo tiene tra le mani come fosse il tesoro più inestimabile di tutti i tempi. Se ne prenderà cura, abbi fede. In fondo, lui è Semola e Semola, è Re Artù.