domenica 8 aprile 2018

Di Alessandro Magno e del crollo di un impero nel mio cuore.

Quando hai amato un uomo che per te era il sole, la luna, il cosmo, il tempo, la rabbia e l’orgoglio, è un vero casino comprendere poi, che l’amore non deve farti male dentro, altrimenti, semplicemente, non è amore, è altro da lui.

Quando l'ho incontrato, non ero altro che un guscio di cartapesta vuoto, l’ombra di quella che ricordavo. La mia fretta di andare, comunque andare, ha sempre reso difficile guardarmi intorno. L’unica occasione in cui mi sono fermata, è arrivata Virginia. In realtà, non è esatto dire che mi sia fermata. Ero in trepidante attesa, ma già fluivo. Non sono in grado di restare. Ecco quello che so di me. Non so restare con la testa, non so restare con il corpo. Sono una che lascia le cose a metà, i discorsi galleggiare nell’aria e le relazioni irrisolte. Quando l’ho vista per la prima volta, mia figlia, ho compreso che si può sentire di essere venuti al mondo per una ragione. Virginia ha gli occhi di due colori diversi, uno color nocciola chiaro come i miei, uno color nutella come il suo papà. Mi sono sempre detta che, fin dagli albori, sapeva di non voler far dispiacere nessuno dei due perché entrambi siamo venuti al mondo per essere i suoi genitori. Avessi saputo amare il suo papà, come ci meritavamo, ora forse sarei qui a scrivere di altro. Mi piace sognare che sarei stata una donna capace di comprendere la ragione d’essere di giallozafferano.it; una che le amiche di Virginia a casa sarebbero investite già sull’uscio dal profumo di plum-cake alla banana, che poi Virginia non mangia le banane, ma nel mio sogno, sarei in grado di farle mangiare tutta la frutta del mondo. Roba che l’uomo del Monte ci passerebbe il testimone dell’ananas. Per dire.
Tutti sappiamo che, non è andata così. Io e il suo papà ci siamo lasciati, perché io non so restare. Io devo andare. Al padre di mia figlia, il mio ex marito, voglio un bene incredibile, desidero che sia spudoratamente felice e, letteralmente, adoro la sua attuale compagna. Lo so, molte di voi a questo punto sgraneranno gli occhi. Per il nostro tradizionale sistema di valori nazional-cattolico-popolare, in qualità di ex moglie dovrei stare sulla difensiva e temere il suo rapporto con mia figlia. La verità è che questa ragazza invece a me piace, soprattutto perché è così matta da sobbarcarsi le ansie di un uomo quasi divorziato e una bimba di sei anni con il gene e il carattere impossibile di sua madre. Non sono gelosa, al contrario sono felice di sapere che mia figlia è amata e sono lieta, che possa avere un altro modello di donna, oltre al mio, da seguire. In ogni caso, questo non è un post sul mio atipico ménage familiare, ma annoto che vorrò parlarne.

Cosa vi dicevo? Ah sì, l’ho incontrato ed ero fragile. Ero nel mezzo di un matrimonio che non comprendevo (ma non rimpiango), di una maternità che mi inabissava e da qualche parte sentivo lontana una eco che mi invitava a prendere nuovamente e forse per la prima volta, possesso di me. L’ho visto, il terreno sotto i miei piedi si è aperto in una gigantesca voragine. I colori si sono fatti più vividi, gli odori intensi. Quando l’ho guardato la prima volta negli occhi, sapevo che nulla sarebbe stato più lo stesso. Era diverso da ogni altro uomo prima di lui. Conoscerlo è significato conoscere un’altra vita, un altro mondo, uno nel quale ero finalmente dove volevo essere, dove avevo scelto io di essere. Eppure, inspiegabilmente, tutti quelli che ci circondavano si sono interrogati sulla natura del nostro rapporto e sulla sua reale ragione di essere, tanto da aver in qualche modo inquinato il suo cuore. Come era possibile che due individui nati in due mondi così alieni, potessero veramente amarsi? Come era possibile che due persone di nascita così lontana potessero amarsi tanto da svuotare l’intero universo del suo significato quando le loro mani non si incrociavano? Era un amore che non lasciava spazio ad altro. Questo ci rendeva invincibili da un lato, attaccabili dall’altro. Amare lui era un’esperienza totalitaria e, per questo, mi confondeva. L’ho amato come si ama Dio. In uno stato di contemplazione e adorazione. In una perpetua attesa di miracoli e, di miracoli, ne ha fatti tanti, ma ha, in qualche modo, trovato il modo di spezzarmi il cuore ogni singolo giorno della nostra storia d’amore. Mi ha voluta con la stessa forza con la quale lo volevo io. Entrambi in adorazione, immobili in un limbo che sognavamo essere il varco sul paradiso e che, nella pratica, si traduceva in un inferno in terra, un purgatorio quando ci andava bene. Che ti promette il paradiso e nel frattempo ti punisce per i tuoi peccati. Era un amore nato sotto un cattivissimo auspicio. Sulle ceneri di un altro. Cosa poteva venirne fuori di buono? Eppure, abbiamo strenuamente provato. Eppure, si è rotto ogni angolo del mio cuore infinite volte e, altrettante, lui l’ha rimesso insieme. Ancora legalmente sposata, con una bambina da gestire. Lui spiantato, arrivato da questa parte del Mediterraneo su un gommone. Un bimbo sperduto dell’isola che non c’è. Una missione impossibile dal primo sguardo e, infatti, la prima volta che mi guardò, fui incapace di proferire verbo, tutto ciò che riuscivo a pensare era che mi stavo ficcando in un gigantesco caos. Un amore come ne incontri uno nella vita, ma in fondo non sono tutti così gli amori? Joshua Mark mi faceva male in tutto il corpo, come avrebbe detto Borges con parole molto più piene delle mie. Ma Joshua Mark era anche pieno di zone d’ombra che, inevitabilmente, si sono riflesse su di me e la mia esistenza. La più grande, quella che ha disintegrato tutto, la mia totale incapacità di fidarmi di lui, del suo passato intendo. La sensazione annichilente di dover, ogni nuovo giorno, fare la sua conoscenza daccapo. Il racconto della sua vita mi arrivava a briciole che con troppa fatica mettevo in un ordine che fosse cronologicamente accettabile nella mia mente di donna occidentale. E poi, il giudizio della mia famiglia, il giudizio del mondo che ci vedeva solo da fuori. La paura di essere un bluff fuori da quel microcosmo che era il campo di accoglienza in cui gravitavamo. La reale difficoltà di trovare un posto in cui incontrarci. E, infine, la paura di un sentimento così forte che poteva portarmi verso una sola direzione: la catastrofe e l’abbandono.

Lui era il mio Alessandro e io il suo Efestione. Mi rendo conto che il paragone appare azzardato, ma io gli ero ciecamente fedele, come appunto, Efestione al suo Magno. La sua migliore amica e la sua amante. L’ho visto arrivare da lontano, conquistare il mondo e poi perderlo. Lo ha perso quando ha permesso al suo cuore di diventare freddo. Quando ha smesso di essere titanico e si è arreso al letame che ci circondava. Lo ha perso il giorno in cui mi ha messa nella posizione di guardarlo e di non vedere più il leone d’Africa che amavo, ma solo un uomo d’Africa come lo vedevano il resto degli occidentali. In una parola, distante. Distante da me, dal mio mondo, dal mio sistema di valori e, quindi, dalla mia vita. Quando ho capito che ero l’unica che lavorava incessantemente a quell’amore. In quel preciso momento mi ha persa. Ho perso il conto di quante volte gli abbia detto che l’amore, per quelle come me, non basta. Con lui ho condiviso il momento più importante della mia vita, la mia rinascita. Ha segnato il momento in cui ho capito che fino a quel momento avevo vissuto per fare felici gli altri. E vorrei, Dio quanto vorrei, dirvi che adesso non è più così, che ora ho trovato la giusta misura tra il compiacere gli altri e soddisfare i miei desideri, ma mentirei. Solo che ora, non mi aspetto più di essere capace di frapporre il mio volere a quello degli altri. Ho preso coscienza che io così sono e che forse, la mia felicità risiede proprio nel fare felici gli altri. Non so se mi spiego. In quante siamo così? Vi vedo, leggere questo incredibilmente lungo monologo amoroso e dire: “Oh, mio Dio, ma parla di me”? Ebbene amiche, diciamolo pure che stiamo sbagliando tutto. Che tanto si fa bene o si fa male, ci criticano lo stesso e allora, che senso ha non fare ciò che ci va? Sì, ecco io lo dico, ma non lo so fare perché ho questa forma mentale assurda e masochista, che mi obbliga a vedere sempre tutti, ma proprio tutti i risvolti di una questione, passando anche sul mio stesso cuore. Ragiono nell’ottica del dubbio e se posso dire la mia, per me è giusto farlo. Mi fanno paura quelli che sanno tutto, quelli che non si interrogano, quelli che non si ripiegano su loro stessi e vivono la vita a passo spedito senza un solo perché scoperto. Ecco, quattro motivi per cambiare di nuovo la mia vita. Non tutte le relazioni finiscono perché l’amore finisce. Anzi, se ho capito qualcosa nei miei primi sei anni da trentenne, è che da adulta le relazioni finiscono per una miriade di motivazione e, raramente, l’amore si annovera tra queste.

Attraverso l’incontro impossibile che ho tanto voluto con Joshua, ho capito una cosa di me e la voglio condividere con voi. Lo faccio per esorcizzare me stessa, ma anche perché sono donna e so, che in molte condividete la mia natura contraddittoria di basto io a me stessa e datemi un Mulino e vi sforno Tegolini tutto il giorno.

Quando io e mio marito ci siamo separati, per lungo tempo ho continuato a lavargli la biancheria, l’idea di farlo non mi mortificava affatto. Non ero responsabile per le sue mutande, in verità non lo ero mai stata sebbene lui si ostinasse a lasciarle in giro, ma lo facevo, non perché fossi una donna incredibilmente buona, ma perché farlo, non levava nulla alla mia condizione sicura di isolamento. Ero sola. Mi lamentavo di lui, come marito e come padre, ma la verità è che io non gli ho mai aperto le porte. Ero intoccabile. La vera responsabile del fallimento del nostro progetto famiglia, oggi lo so, ero io, ma il cuore non ammette la ragione e la tragedia dell’essere umano è tutta lì.

La vera responsabilità, il vero rischio, è prendere il cuore di un uomo e tenerlo tra le tue mani e poi, prendere il tuo e metterlo nelle sue.
Fidarsi e affidarsi. È questo il brivido che fa scappare quelle come noi, vero?
Impegnarsi e responsabilizzarsi affinché l’incantesimo non si spezzi.
Anche questa volta, non l’ho fatto.
Ho amato come non credevo avrei mai potuto fare, senza guardare in faccia niente. Dimenticando il mondo intero eppure io non mi sono mai affidata a Joshua e non mi sono mai fidata di lui. Sono stata così brava e perversa da sabotare anche l’amore che una dice ti ho aspettata tutta la vita.

Un giorno l’ho guardato ed ero forte abbastanza per lasciarlo un passo indietro e poi due e poi tre.
Ho avuto paura. Ancora. Ho pensato che nulla è eterno e che io, di certo, non sarei rimasta ad aspettare la fine. Ancora. E piano, piano ho distrutto il leone e ho creato l’uomo. Quando poi l’Impero è crollato, io ero già altrove.

Ma amore non è questo.
Amore non può e non deve essere questo.

Amore è che il tuo orco ti sorprende, ti chiede di seguirlo ad occhi chiusi.
Amore è non tanto scoprire di riuscire a chiuderli, quanto di riuscire a non aprirli fino a quando non raggiungete la destinazione.
Amore è quello.
Il resto è semplicemente altro.