giovedì 19 luglio 2018

I basilari.

È una verità universalmente riconosciuta: i bambini sono la più grande gioia nella vita di uomini e donne che superata la fase #PerdonameMadrePorMiVidaLoca decidono di metter su famiglia e, in questo metter su, ignorano l’inferno in terra che stanno per attraversare, quindi, tenuto conto della più elementare conoscenza della cosmologia dantesca, sarebbe forse più consono dire metter giù, inabissare, o, ancora, affondare o, più semplicemente, seppellire la loro voglia di vivere per almeno sedici anni a seguire da quella notte brava durante la quale, si sono immaginati a correr felici per campi di girasoli con i loro pargoletti. Anzi, no, aspettate un secondo, mi dicono dalla regia che gli anni non sono sedici perché la crisi e tutto il resto, ma almeno ventotto. Sono pur sempre i figli di noi choosy questi qui. Ma noi al principio non lo sappiamo, continuiamo a sfornare figli, per nove mesi ti immagini quei piedini cicciottelli, le manine paffutelle e il profumo di buono, quel profumo che non hai mai sentito prima e che non sentirai altrove: profumo di vita nuova. Poi, partorisci. Ti ritrovi un Gremlins tra le braccia: dolcissimo alla vista, un piccolo demone nella verità dei fatti. Signori e signori, questo è il segreto ultimo dell’evoluzione perché diciamolo pure, con la consapevolezza del dopo, uno col cazzo che li farebbe!
Abbandonate ogni speranza voi che entrate: benvenuti nel meraviglioso mondo della genitorialità. Guida semi seria ai basilari.
Avete mai googlato operazioni basilari per mantenere in vita un cucciolo di essere umano? Io, l’ho fatto. Sono una maniaca del controllo, più che del mio istinto, mi fido dei libri. Se cerchi in rete, dal neonato all’infante, le risposte differiscono pochissimo. Ora, prima che partano le tempeste di insulti e le chiamate agli assistenti sociali, anche io ho imparato l’arte della finzione. Ci vado anche io fuori scuola a prender parte alla commedia “Essere madre è un Carnevale di Rio”, a volte poi sostituita dal sempreverde melodramma “Mia figlia è un piccolo raggio di sole che viene ad illuminare le mie giornate con le sue domande curiose e sempre pertinenti sull’ineluttabilità del tempo che scorre e su chi sia Dio”, ma non prendiamoci in giro. Per i prossimi due minuti, secondo più secondo meno che impiegherete a leggere questo piccolo sfogo, io decido di abbassare il velo di Maya su questi piccoli esseri umani che ci piace chiamare bambini e vi racconto la verità che so per certo non essere solo mia, quella che ho sentito ai peggiori aperitivi tra madri, quelli che al secondo americano ti vendo il figliolo per un pomeriggio libero. La verità ultima è una. Non ci sono scappatoie. I bambini sono dei rompi balle. Oh, via l’ho detto! Ora, preso atto di questa grande verità, col petto più leggero per aver detto quella verità nascosta in fondo al cuore, scevri dal peso della madre perfetta che vive in sordina alla moglie perfetta, cerchiamo di mettere i puntini sulle i e aiutiamo quella nostra amica che ancora non sa cosa significhi essere genitore e che più presto di quanto creda, si ritroverà a desiderare di lanciarsi da un dirupo perché, la paura di schiantarsi sarebbe nettamente inferiore a quella che prova ora, mentre guarda suo figlio neonato che ancora non ha perso il moncone del cordone ombelicale perché lei è, ovviamente, o così crede, un’incapace. Mi sembra di vederla che frenetica con un pannolino in mano, la poppa che le perde latte, due ore di sonno sulle spalle, si chiede: cosa cazzo mi aveva detto di fare l’ostetrica? Amica, ma anche amico mi auguro, ripeti con me: non è difficile come sembra. Per mantenere vivo un essere umano devi conoscere i basilari. Una volta fatti tuoi questi, il resto vivilo con leggerezza e tieni sempre a portata di mano una bottiglia di vino. A mio avviso, i basilari, sono quattro:
-lavarlo
-vestirlo
-nutrirlo
-metterlo a dormire.

Lo so, uno legge una lista di quattro micragnosi punti e si fa l’idea che sia semplice, tranne poi irrimediabilmente scoprire, che essere genitori, più che assomigliare ad una check list da spuntare, assomiglia ad una vera e propria Guerra Santa, ma come in ogni guerra, anche in questa, c’è bisogno di strategia. Essere in due di certo aiuta, perché loro sono piccini, ma credetemi studi recentissimi affermano che più la storia umana evolve, più gli esseri umani nascono dotati di cazzimma. Giuro. Non è come quando eravate piccoli voi. Dimenticate i bambini che nei viaggi in auto, giocavano a trovare 3 numeri uguali di seguito sulle targhe per ore e ore. Questo è il bambino italiano 2.0 un ibrido tra un bambino normale (la notte, quando dorme) e un hacker che per hobby irrompe nell’internet banking dei genitori. Mentre mangia pane con la nutella. Mentre mangia pane con la nutella e guarda i tutorial su Youtube. Lo so che sapete di cosa sto parlando. C’è tutto un altro codice linguistico, ad esempio. Avete provato a comunicare con un bambino di sei anni ultimamente? No, perché è tutto un susseguirsi di citazioni a metà strada tra Kant e Maria de Filippi. Sono la generazione Youtube, dove anche attraverso il filtro parentale, trovi video documentari che vanno a braccetto con tutorial di gente matta che gioca. Stiamo parlando di bambini il cui gioco preferito è guardare la gente che gioca su Youtube. Houston, abbiamo un problema grosso qui.
Io parlo moltissimo con Virginia, perché entrambe soffriamo di un grave caso di incontinenza verbale. Spesso mi devo fermare per obbligarmi a pensare che questa bambina dal vocabolario particolarmente ricco (ma che non ha ancora imparato l’uso del se ipotetico) ha sei anni, non trenta come me. La sento parlare con tranquillità di argomenti che so per certo non aver mai toccato con lei e poi le sento dire che l’ha imparato alla tele o su internet. La guardo muovere per aria le mani, difendere con tenacia le sue idee, imporre il suo volere e sono spaventata. In primo luogo, di non essere pronta a regalare al mondo tanta meraviglia e, inoltre, che il mondo la sporchi troppo presto.
E non siamo noi genitori. Uscite da questa trappola prima che possiate. Non fatevi convincere dai nonni (capitolo a parte) che siete voi ad essere deboli. NO. Urlatelo forte. Non siamo noi ad essere deboli, sono loro ad essere dei piccoli criminali informatici. A sei anni, non nutrivo nemmeno la consapevolezza di avere una voce per oppormi al volere degli adulti. Di tutti gli adulti. Non c’erano adulti di serie A e di serie B. I miei fratelli maggiori, all’epoca adolescenti, erano già adulti. I bambini di oggi fanno terrore. Sembrano trentenni intrappolati in corpi troppo piccoli. Mi dico che poi migliora, ma poi mi ricordo di cosa mi diceva mia madre quando mi disperavo perché Virginia non faceva cacca le fatidiche cinque volte al giorno che ti raccontano al corso preparto: figli piccoli, problemi piccoli. Figli grandi, problemi grandi. Quando me lo diceva mi faceva infuriare, non lo capivo, sembrava solo un modo affettuoso, ma pressapochista di liquidare le mie ansie e la sensazione che mi restava era solo una: paura. Tutto ciò che mi domandavo era “quando capiranno che faranno meglio a togliermela prima che la rompa”? Poi, nel giro di pochissimo, ho capito. Nel mentre però, mi separavo, divorziavo, prendevo un cane, traslocavo, cambiavo lavoro e mia figlia finiva le materne. Il tutto, pensate un po’, mentre la vita proseguiva per i fatti suoi, senza che lei morisse o io la rompessi, almeno non in maniera evidente. Per le crepe dell’ego tocca aspettare l’adolescenza e l’età adulta, quando sul lettino del suo analista, mi descriverà come una stronza cinica che le anteponeva la scrittura e che le ha impedito di andare in giro vestita da Barbie Pole Dance quando aveva cinque anni e si scoprirà, con tutta probabilità, che questo le ha impedito un percorso intimo che fosse equilibrato e sano. Voglio dire, alla fine è sempre colpa delle madri oppure Freud, non ci aveva capito una sega. In ogni caso, durante questi sei anni di conoscenza con mia figlia, ho affinato l’arte di scegliere le battaglie da combattere. Le mie, sono solo le quattro che ho elencato. E ora, per dimostrarvi che facevo sul serio con la cosa dello stigma della madre perfetta e che mi sono stufata di rincorrere un ideale che non potrò mai raggiungere non perché io sia particolarmente incapace, ma perché è inarrivabile in quanto inesistente, vi racconto la nostra routine come amano chiamarla i sedicenti esperti di genitorialità in rete.

-LAVARLA: più o meno funziona così -“Amore, andiamoci a lavare”
-“Noooooo, mamma nooo ti prego non farmi lavare non mi voglio lavare. Ti prego, ti prego ti pregooooo” la scena di norma continua con me che la trascino al bagno, la spoglio; lei urla che mi odia che non ho il diritto di scegliere se lei si debba lavare o meno, io la lancio sotto la doccia e non appena la prima goccia di acqua sfiora il suo beato cuoio capelluto…
-“NOOOOOO, mamma nooooo lo shampoo no” non rispondo, di proposito, perché anche sull’orlo di una crisi di nervi, non le voglio mentire. Questa è l’unica promessa fatta a me stessa il giorno in cui è nata e l’ho guardata per la prima volta. Lei lo sa. Lei lo sa sempre. Afferro la boccetta di shampoo, sono il gladiatore al mio segnale scatenate l’inferno. Ne usciamo stremate. Entrambe, ma io di più. Riposiamo il tempo di arrivare al momento asciugatura capelli. E a questo punto ho solo una nota a me stessa da fare, ogni, singolo, shampoo: madri che non vi fate convincere a far tenere i capelli lunghi alle vostre figlie, avete capito tutto della vita!
-VESTIRLA: ecco qui ci sarebbe da scrivere un piccolo compendio. Sulla moda e dintorni. Di Virginia de Paolis. La mia bimba ha un’idea precisa, molto precisa di cosa HA STILE e cosa NON HA STILE. Di base, secondo lei io non ho stile, lei, invece, sì. Nel suo immaginario del mondo della moda, tutto ciò che è oscenamente tamarro, tutto ciò che sbrilluccica e la fa sembrare Edward Cullen al sole, meglio se anche catarifrangente ad un livello tale sia possibile riconoscerla da Giove, ha stile. Io, sua madre, colei che l’ha portata in grembo per 9 mesi facendole ascoltare solo Vasco Rossi, Nirvana e Foo Fighters. Io che l’addormentavo con Jeff Buckley, vesto solo total black e quando mi sento particolarmente di buon umore oso un blu navy, ma mai e poi mai stampe a fantasia. Capirete, quindi, che sulla questione stile, abbiamo dovuto lavorare un poco, trovando di volta in volta, nuovi compromessi. Abbiamo creato una prima netta divisione tra abiti Rock e da Principessa, per poi arrivare allo Chic-Rock e al Cheap Principesco. Quindi, se la mattina non ho intenzione di farla andare a scuola nei panni di una mini Drag Queen, devo mediare, cedendo sulle paillettes, ma che siano sempre e solo sul nero. Dio benedica la scuola pubblica e i grembiulini.
-NUTRIRLA: mia figlia ha digiunato per i primi sei anni della sua vita. Lo so, starete pensando che barba! La solita madre esagerata, forse, invece, penserete io sia una madre particolarmente degenere. Ebbene amici, non esagero e pur non essendo propriamente Wendy di Peter Pan, posso dire di averla mantenuta in vita. Forse, perché l’ho allattata a richiesta fino a quasi due anni compiuti, non saprei dire esattamente quale sia stato il motivo, ma fino a qualche tempo fa, il cibo non destava in lei la minima curiosità. Quando è andata al nido, io che sono una di quelle madri che tende a preparare al peggio le maestre, dissi loro che Virginia non avrebbe mangiato. Loro risposero con i loro sorrisi dolci e pieni di esperienza che tutte le madri dicevano così e che poi per emulazione, invece, i bimbi mangiavano tutti. Sorrisi con garbo annuendo. All’uscita pensai tra me e me che quelle donne, che poi avrei imparato a conoscere e apprezzare tanto, erano delle ingenue e che non conoscevano mia figlia. La prima parola che ha detto Virginia è stata NO. Il concetto di emulazione non la sfiora affatto. Virginia è nata sotto il segno del leone ed è un quattro che tradotto in un linguaggio a noi umani comprensibile suona così: STICAZZI e buona fortuna a tutti voi che entrate in contatto con lei! In un anno di nido e tre di materne, Virginia ha mangiato forse quattro volte, nel senso che di due volte in quattro anni, ho testimonianze fotografiche, del resto no. Vivo nell’ignoranza e da quando lo faccio, sto molto meglio. Oggi, a sei anni quasi compiuti, mangia dopo attenta vivisezione di quello che le passa nel piatto, ma è un continuo negoziare. –“un video per due pisellini”. Roba così. È diseducativo, lo so, ma il mio compito è tenerla in vita e farlo cercando di non incorrere in dipendenza da Xanax.
E, in fine, amici e amiche che pensate a quanto possa essere dolce il momento della ninna, vi racconto come funziona nella pratica (almeno a casa mia e di quelli onesti).
METTERLA A DORMIRE: dopo averla sapientemente fatta cenare alle 19.15 di modo che fino alle 20.00 mi illudo abbia avuto abbastanza tempo per continuare a fare il nulla che le piace tanto fare, al rintocco delle 20 e un minuto inizio a farla abituare all’idea che la giornata sia volta al termine.
L’idea, che ve lo dico a fare, non le piace per nulla. Ore 20.15 -“V. spegni la tele, metti il pigiama e vai a dormire”.
-“No". Lei il no lo dice per default. Virginia amore mi passi l’acqua? No. Virginia, tesoro santo, mangiamo? No. Virginia, cuore mio, vai a mettere le scarpe. No. Virginia, amore assoluto ed indiscusso della mia intera esistenza, facciamo la doccia. No. Virginia, miracolo della vita, io ti ho fatto e io ti distruggo, passami l’acqua, mangia, metti le scarpe e fai la doccia. Ecco, così per esempio la comunicazione funziona e quel no diventa, per miracolo, sì. È tutta una questione di trovare il codice linguistico giusto.
20.30 -“V cosa esattamente di SPEGNI LA TELE non ti è chiaro, amore santo?”
-“Ho detto, finisco di guardare l’ultimo episodio. Almeno” Ogni sera, annoto che con il se ipotetico, mia figlia non ha capito una sega di come si usi l’avverbio almeno.
E poi va più o meno di questo passo fino a quando una delle due non perde le staffe, di solito io. A quel punto, tra imprecazioni di vario genere, minacce di scuola militare e simili, spengo la televisione. Lei in lacrime per aver subito l’ennesima ingiustizia da questa madre troppo severa come ama appellarmi, va in camera sua sbattendo la porta e urlando al vuoto, al soffitto, a Dio a tutti meno che a me ben trincerata nella strafottenza del ruolo di comandante, che mi odia e che non è affatto giusto. Ora, nel letto chiede una storia. Dopo un’intera giornata di battaglie a pochi metri dal traguardo, lei ti chiede la storia, ma non una qualunque -“Mamma, una lunga però”. Compromesso, una lunga ma cinque pagine non di più, che poi diventano dieci, quindici fino a quando non mi addormento mentre leggo. Verso le 24 di solito, mi sveglio dolorante e me ne vado nel mio letto dove poi le arriverà intorno alle 5. Ed è così sempre. Ogni. Singola. Sera.

E, allora Michela cosa ci vuoi dire? Forse che sei pentita di essere madre? O, forse, che faremmo bene a non fare figli?
Onestamente, non ho risposte. Non so se sia meglio una vita senza figli. So che di sicuro è più semplice viver senza di loro. Tuttavia, diventare madre mi ha fatto esperire una condizione di vitalità mai provata prima. Essere così potente da creare la vita. Nutrirla dentro e fuori dall’utero e poi, fare la conoscenza di questo essere umano che è la traccia di te su questo pianeta. Essere responsabile per la vita di un altro essere umano è un viaggio difficilissimo che ti fa vivere con la costante sensazione di avere il cuore fuori dalla gabbia toracica. Senza difese. Ti domandi come tu possa anche solo pensare di riuscire a vivere così? E, invece, in qualche modo che non riesci a spiegare, ce la fai.
Alla voce istinto materno, il mio codice genetico risponde non pervenuto e combatto ogni giorno l’istinto di fuga più consono alla mia natura. Non credo nell’Istituzione famiglia così come ci viene presentata dal Vaticano, in quanto donna, non penso che mia figlia sia il meglio che la vita possa offrirmi o, almeno, non credo e, anzi spero non sia, tutto ciò che la vita possa offrirmi. Abito una vita che è al di fuori di mia figlia e maledico la mia condizione di madre con estrema (a volte troppa, lo riconosco) facilità tanto che, chi non conosce il mio congenito sarcasmo, mi fraintende. Per fortuna, mia figlia è dotata della stessa vena sarcastica e ha ereditato il mio senso dell’umorismo. Eppur tuttavia, non tornerei mai e poi mai indietro. Sono un essere umano migliore da quando la conosco. Eppure, mi ha insegnato ad amare e non c’è uomo che tenga. Eppure, mi sento onorata e benedetta per l’opportunità che è vedere crescere un figlio. Essere madre, anzi genitore, richiede una grande dose di coraggio. Una dose di coraggio inesauribile. Per fortuna, i figli ce lo insegnano poco alla volta ad essere così forti e quando lo fanno, ti fanno dubitare di te ogni singolo giorno, ma nello stesso momento del dubbio, trovi conferma del significato delle parole: sfida, vita, risate, amore e gioia sconfinata e allora io mi dico che ho i basilari. Io ho trovato i miei, ogni genitore ha i suoi. Ho i miei basilari e tutti i campi di girasole del mondo da attraversare mano nella mano con V. E va bene così.