lunedì 11 dicembre 2017

Le regine del 33, 33 e 33

L’altro giorno, parlavo con una mia cara amica. Una donna che amo e stimo in egual misura, in quella maniera assoluta di metempsicosi per la quale, una diventa identica all’altra, nel percorso che si fa insieme. Una cosa che con un uomo non potrebbe mai capitare, a meno che, non si incontri uno di quegli esseri mitologici muniti di un pene e di una sensibilità femminile che gli dica come usarlo. Un femminista, vero. Lo dico e mi sembra di infrangere un tabù. L’ultimo baluardo sulla via dell’illuminazione circa rapporti di coppia uomo/donna. Insomma, se ne conoscete uno, esponetelo al mondo, che qui siamo tutte alla ricerca del Sacro Graal. Non siate egoiste. Non siate quel tipo di donna che trova, per puro caso, il cioccolattino giusto in una scatola dai gusti di merda e pensa “ora me lo pappo io da sola, mangiatelo tu, quello al marzapane!”. Siate altruiste. Dite no al marzapEne per tutto il genere femminile. Facciamo rete, no? Oggi si fa rete per tutto. Non so nei vostri lavori, ma nel mio, c’è un “tavolo di consulta” per ogni tipo di scelta, da quelle importanti alla festa del Natale.

Insomma, sabato sera, io tornavo da un incontro con la cittadinanza di Piombino, teso alla sensibilizzazione sul tema immigrati e lei era a casa. Lei in coma sul divano, io in coma in auto. Lei in lotta con la noia, io con la parte di me perennemente in fuga, ma questo, ve lo racconto un’altra volta e lei, come fa sempre, mi ha fatto riflettere su una teoria interessante.
Noi, donne intorno ai 30 –dove, a dirla fuori dai denti, non si capisce se siamo più intorno ai 30 o ai 40, considerato che siamo proprio nel mezzo, ma, in fondo, lo sanno tutti che i 40 di oggi sono i 30 di ieri- al netto di un’indipendenza economica che, spesso, si accompagna ad una maggiore sicurezza e autostima e, quindi, nel campo sentimentale, ad una emancipazione dall’altro, con un matrimonio o una convivenza alle spalle, un cane o un gatto a riscaldarci il cuore e, alcune, con delle estensioni di noi, i figli, da crescere, siamo quelle del 33-33 e 33.

No, non siamo afflitte da una perversa sindrome di Peter Pan che ci cristallizza agli anni di Cristo in croce. Per quanto dolorosi siano stati, la maggior parte di noi, ne è uscita ammaccata, ma in qualche modo incolume, da quei 365 giorni di panico e delirio che sono i 33. E, no, 33 non è il numero di uomini che abbiamo amato. 33 è la quota vitale che siamo, fisicamente capaci, di dedicare.

Se è vero che siamo unità intere, allora, un 33% della nostra quota di energie, la dedichiamo al lavoro. Un lavoro che abbiamo imparato ad amare e a sentire nostro. Un lavoro che spesso sfida le leggi della fisica di piegamento e flessione di un corpo e di uno spirito, ma che cavalchiamo come intrepide amazzoni.
Un altro 33% della nostra quota vitale, va alla famiglia, qualunque essa sia. Da quella mononucleare con te e il gatto (che poi sono sempre almeno due i gatti) a quella della mamma single, con un bouledogue francese affetto da aerofagia acuta e una quarentenne rinchiusa nel corpo di una cinquenne come figlia, o, ancora, quella con te e la tua donna o il tuo uomo, o quella in cui ci sei tu, un marito e figli di diverse unioni o, quella strana cosa chiamata famiglia tradizionale, che a me da sempre i brividi e della quale stento a fidarmi per incolmabili vuoti emotivi, dei quali, state tranquille/i, non parlerò. Per quello esiste una stanza con divano apposta. Il lettino non c’è. Non sperateci. È un’altra leggenda.
Infine, l’altro 33% alcune lo dedicano all’amore, altre al sesso, quello adulto, pieno e cosciente. Quelle parecchio fortunate, coniugano entrambe le cose. Per un periodo sufficientemente lungo del proprio viaggio.
L’altro 1% che fine fa? Quello, è il maledetto quid impazzito che vaga feroce lungo le tre parti di noi. A volte fa pendere la bilancia sul 33 del lavoro; in quel caso, ci danno delle ciniche arriviste. Altre volte sul 33 della famiglia e ci chiamano casalinghe frustrate, altre, sul 33 del sesso, allora ci chiamano ninfomani, altre sul 33 dell’amore e lì, amiche, sono pene. Vero?

Insomma, è la storia di sempre. Come in Sex and The City, io l’ho amato quel telefilm, ma bimbe, che fatica a restare imprigionata in uno solo dei personaggi!
Carrie, la Regina di Cuori. Quella dei grandi incendi emotivi e degli iperbolici interrogativi, quella che osserva il mondo con l’occhio curioso dello scrittore.
Samantha, la Regina delle Picche, dell’indipendenza economica, della libertà sessuale, ma anche capace di contenere il dolore di un cancro.
Miranda, la Regina di Quadri, la più umana e sarcastica, quella della verità ad ogni costo, quella della mamma single, della donna tradita, della moglie che perdona; quella dei chili di troppo post partum e delle difficoltà di una donna che, pensava di voler fare carriera più di ogni altra cosa al mondo, ma poi scopre che, diventare madre, inevitabilmente ti cambia. Forse non nel nucleo, ma, di certo, nel modo di operare le scelte.
E, infine, Charlotte, la Regina di Fiori. La Regina della Casa, quella dell’Amore con la A maiuscola, capace di convertirsi ad un altro Dio per il suo uomo. Quella elegante. Quella di cultura. Forse la più sottovalutata. Quella che, a prima vista, sembra una borghese ipocrita che spaccia la sua istruzione, per amore dell’arte (è una gallerista ndr). E invece, poi, si scopre una donna capace di grandi profondità, fragile, ma titanica quando serve.

Ognuna di queste è il braccio armato e il cuore pulsante dell’altra e, insieme, formano una meravigliosa Matrioska.
Invece, cosa facciamo noi? Ridimensioniamo, ogni giorno, qualche parte di noi. Un taglietto qui, ché essere così libere sessualmente non va bene, un morso alla lingua ché il sarcasmo non è segno di intelligenza brillante, ma di cattiva educazione, un altro muretto da ergere nel cuore ché tutta questa passione per la vita finirà per distruggerti e una collana di perle in più, perché sei pur sempre una donna. Siamo noi, le prime ad ingabbiare le Quattro Regine che dormono dentro di noi. Siamo noi, le prime a non accettare che siamo quelle del 33. Abbiamo imparato ad imporci tutto: diete, palestra, jeans troppo stretti, tacchi troppo alti, un marito che detestiamo e non siamo capaci di convincere noi stesse che le donne come ce le hanno fatte figurare da bambine, non esistono più. Va bene così. Noi amiamo così e amare così, non significa, non amare abbastanza, essere così, non significa, non essere abbastanza. Va bene essere così, ripetilo con me, va bene essere così.
Puoi essere Regina di cuori, quadri, fiori e picche tutto in un’unica giornata perché, l’unica cosa vera, è che nessuno, ha il diritto di toglierti lo scettro che ti sei guadagnata. Tu sei la regina del 33 e vai bene così.


1 commento:

  1. Io mi sento regina di quadri....Sono fuori da qualsiasi dei tuoi trentatré e sono nel pieno ma emozionantissimo tumulto dei 40....incentrata tutta su di me adesso, ricordo con il sorriso le mie contestazioni femministe e la passione per un'emancipazione della quale adesso resta solo una nota di J.Lennon ...i miei 40 sono rock...sono di consapevolezze amare ma incoraggianti...ho imparato il vero senso dell'ironia...la autoironia un make up da urlo...tutto il resto nn mi da più noia è semplicemente noia...

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