domenica 27 settembre 2020

Dell'autunno che insegna, le foglie che vanno e l'amore che resta.

L’autunno, come ogni anno, mi trova impreparata. 

L’aria si fa fresca, i colori più caldi. I profumi diventano pungenti, i tramonti improvvisi. Le ore si rincorrono e l’agenda si riempie.

Autunno, rallento nel corpo e provo, disperatamente, a rallentare nella mente. Provo a capire quali parti di me siano autentiche e quali, invece, una creazione del mio ego per compiacere gli altri.

È un autunno nuovo: imparo e disimparo chi sono.

Il primo da tanto nel quale non sento il peso di essere sola. 

Su questa strada che percorro da un po’ sento di essere così connessa alla terra che della solitudine non riesco ad avvertire più la presenza.

Ci hanno raccontato, che per non soffrire l’importante era non portare le nostre aspettative nelle relazioni e tutti noi, donne e uomini, ci siamo lanciati in relazioni basate sul vuoto cosmico. 

Tutti a sbandierare la nostra indipendenza, il nostro essere liberi da ogni tipo di legame. A cosa ci ha portati questo? Siamo forse più felici?

Tutti a nasconderci dietro l’apologia del dolore.  Il sillogismo perverso che giustifica una vita trascorsa nella potenzialità dell’essere felici senza però esserlo mai.

Io ho sofferto, quindi, ora tutti quelli che entreranno nella mia vita pagheranno per il dolore che mi ha provocato qualcun altro. Quanto saremo folli?

La natura invece ci insegna, se la sappiamo ascoltare, che il dolore è connaturato alla vita, che la fine non esiste e che, anzi, è solo un nuovo inizio. Non è forse questo l’autunno? Le foglie si riempiono di colore, cadono dagli alberi, preparandosi a diventare esse stesse, terra, vita. Dando così il via ad un nuovo ciclo.

Non è forse questo l’amore? La rigenerazione di un nuovo te.

Non è forse tutta la vita una preparazione alla fase successiva? 

Non è vero che non è giusto avere aspettative in una relazione. Quello che non è giusto, è avvicinarsi all’altro col carico di un passato non risolto sulle spalle. 

Non è giusto proiettare sull’altro la nostra necessità di sentire che abbiamo superato il dolore. 

Non è giusto fargli richiesta di certezze che non riguardano la coppia, ma le nostre vite come individui. Quelle, se proprio ne abbiamo bisogno, è compito nostro ricercarle.


È, invece, sano portare le giuste aspettative in una relazione.

Richiedere ad una relazione di farci sentire in un luogo sicuro, è giusto.

Richiedere ad una relazione il rispetto di noi stessi, è giusto.

Richiedere ad una relazione la fiducia verso l’altro, è giusto.

Richiedere ad una relazione onestà, è giusto.


Spesso rischiamo di confondere la necessaria consapevolezza di essere integri da soli, con l’inutilità dell’altro. Sentirsi super uomini e super donne che non hanno bisogno di nessuno, è un’altra illusione del nostro ego. Siamo esseri umani, siamo per natura predisposti all’altro. Se da un lato è vero che non abbiamo bisogno dell’altro per essere interi, dall’altro è vero che non c’è nulla di sbagliato nel vivere il nostro/a compagno/a come una fonte di gioia, di amore e di sicurezza.


Il punto della questione, terribilmente semplice se ci pensiamo, è che siamo vivi perché siamo come foglie su un albero che aspettano di cadere per poi rinascere. 

Possiamo chiamarlo come ci pare: guarire, crescere, tornare a noi stessi, evolvere; la verità è una: si chiama vita e non conta quanto decidiamo di impedirne il corso mettendoci il peso dell’ego che ci piace chiamare “ragione”, la vita accade e sa, prima di noi, cosa fare.

Per questo posso scegliere di lasciarti andare senza che il mio ego mi prenda a ceffoni. Per questo sorrido quando dici che entro nel mio mutismo. Vedi, non combatto più contro la vita. Ho fiducia che la vita è mia alleata. Ho fiducia che dare amore porti sempre e solo verso l’amore. Vorrei, Dio se lo vorrei, che fossi tu, ma sono consapevole che se così non dovesse essere, io sarò stata e resterò fedele a me stessa e al mio cuore.

Ho imparato che c’è un tempo per insistere e un tempo per andarsene. Raramente corrispondono a quello che ci sembra più semplice fare.

L’autunno insegna ad avere la saggezza di riconoscere entrambi.


Nel frattempo, prendo una sedia, mi metto a sedere e guardo le mie foglie andare.


martedì 22 settembre 2020

"Di yoga, di erbe, psiche e di omeopatia". Pensieri sparsi tra quattro stracci di Guccini e il giorno dopo le elezioni

Tutta la vita mi sono sentita isolata. Intrappolata in una terra desolata, inospitale, inarrivabile. 

Ho accettato per la maggior parte del tempo, che le persone mi dicessero chi ero, perché era più semplice dar loro quello che si aspettavano da me. Una storia vecchia come il mondo, vero? Non ho mai pensato di valere lo sforzo che la mia vita incasinata richiedeva, agli sventurati che si avvicinano, per conoscermi davvero. Per questo sentirmi incompresa e delusa, non mi feriva quanto avrebbe dovuto.

Ho trascorso più della metà della mia esistenza su questa Terra a mettere a tacere me stessa. Più la consapevolezza di me cercava di prender parola, più io le stringevo il collo. Una lotta estenuante, talmente serrata, che ad un certo punto, sono rimasta sola con voi altri e di me stessa mi sono dimenticata.

Ero disperatamente infelice però.

Continuamente come sott'acqua. La gola chiusa, per paura di vedere rotolare fuori dalla mia bocca, parole come perle da un'ostrica.

Avrei potuto continuare a vivere così? Me lo domando spesso. Conosco poche persone sincere con loro stesse. Conosco pochi individui che alla frase "io voglio essere felice", poi facciano corrispondere azioni reali, tese alla ricerca di quella cosa lì. Il nostro sacro Graal: la felicità.

Dicono esistano momenti cesoia nelle vite di tutti. In trentotto giri intorno al sole ne ho contati tre.

L'incontro con lo yoga è, certamente, uno di questi. Avvicinarmi al tappetino è stato un processo naturale. Questa disciplina che è l'Ashtanga Yoga sta lentamente cambiando tutto di me. Ha iniziato dal corpo, lo ha reso più forte e stabile e poi, come una goccia che consuma la roccia, ha scalfito la mia pelle e mi è entrato dentro, facendomi dono della cosa più preziosa che ho: il ricongiungimento con me stessa.

Sento piano, piano le resistenze del mondo venire meno e sparire ogni forma di violenza dalla mia vita. Anche le parole che affollano da sempre la mia mente, sono parole nuove. Rinnovate nella pura e semplice gentilezza. Non c'è violenza alcuna nei miei pensieri, nemmeno quando perdo la pazienza e non c'è violenza nei miei gesti. C'è una strada che percorro dall'esterno verso l'interno, svariate volte al giorno, dove mi prendo per mano e mi perdono per essere stata la peggiore e più mediocre versione di me. Mi perdono per aver lasciato che la violenza del mondo corrompesse le mie intenzioni. Mi perdono per non aver saputo ascoltare la mia voce che mi diceva chi ero e cosa volevo. Mi sono forse vergognata per non essere all'altezza della vita pragmatica che credevo (chissà poi perché) di dover vivere? Ancora non lo so. Ma non mi sono amata. Nemmeno guardare negli occhi mia figlia mi ha dato la misura di cosa potesse essere amare me stessa. Anzi, diventare madre mi ha resa ancora più inadeguata al ruolo di donna perché mi ha fatta sentire perennemente sullo scoccare di un gong. Gong! Tempo scaduto, sei diventata grande e non sai ancora chi sei.

Ma per fortuna dal fondo si risale. Ho scoperto che l'amore per me stessa è possibile, ora che mi conosco. Ora, che piuttosto che preoccuparmi di essere perfetta, mi preoccupo di essere intera. Ho scoperto che le mie zone d'ombra sono lì per aiutarmi a navigare questa vita. Tutto ciò che ho detto e fatto, mi ha portata dove sono: in un non luogo nel quale le mie ferite, le mie paure, le mie ansie, i miei demoni sono liberi di far chiasso. Il non luogo in cui do a tutti quanti loro il benvenuto, consento a tutti noi di respirare e, respiro dopo respiro, loro si calmano e la vita riprende da dove si è interrotta.

Forse è così che ci si ama? Attraverso l'accettazione anche un po' sbracata di sé stessi?! Non posso dire di aver trovato la risposta, ma credo sia l'unica opzione possibile per me. Ho dovuto accettare ogni parte di me per amarmi e non nascondo, che ancora mi risulta difficile. Sono ancora più numerosi i giorni nei quali mi sto cordialmente antipatica, ma a differenza di prima, mi accetto e so che domani, forse, mi troverò più tollerabile. 

Al punto in cui sono cerco di mantenermi salda nella mente e stabile nel corpo. Cerco di dimenticare la sensazione che mi ha sempre tenuta per mano d'essere un giunco al vento.

Faccio del mio meglio per volermi bene, per prendermi cura di me e per rispettarmi. Quest'ultima cosa, non mi riesce ancora molto bene. Ho idea sia un processo di apprendimento lungo una vita. Almeno quanto lo yoga. 

Moltissime sono le domande che mi pongo guardandoti.

Sono abbastanza intera da poter apportare dei benefici alla tua esistenza o, invece, rischio di rovinare il tuo equilibrio?

Posso regalare alla tua esistenza un'esperienza di amore puro, consapevole, adulto, libero dal senso di possesso e di narcisismo di noi esseri umani?

Posso darti serenità o ti chiamo alla guerra?

Posso offrirti tranquillità e godere della tua o ci ritroveremo in tempesta?

Posso guardarti essere immenso senza dover rendere me piccina?

Posso fidarmi del coraggio che ti ha mosso fino ad oggi nel mondo? Saresti ancora così coraggioso nel bel mezzo di me?

Non lo so. So qualcosa di nuovo però. Questa è una novità assoluta nella mia vita.

So che pormi queste domande è prova provata dell'essere diventata donna. 

So che ti lascerei vivere la tua vita per te stesso e nessun altro. So che non ti domanderei mai e poi mai di darmi conto delle tue scelte. 

So che ti starei accanto nel vuoto senza aver paura dell'eco dei nostri pensieri.

So che ti guarderei, come sempre faccio, negli occhi nella coscienza di ogni singola parola che ti dico. Nelle parole che non so frenare e ti fanno sentire nel marasma. Nelle parole che non ti hanno mai detto facendoti un torto ché avrebbero dovuto gridartele.

E so che ti vorrei sempre così: col sole in fronte. Grande come sei.





domenica 13 settembre 2020

Ogni cosa è illuminata. Ovvero, come l'amore ti leva i dubbi e ti trascina al centro di te.

 Il problema con quelli che dubitano è che, in realtà, non ricercano risposte.

Loro abitano l’incertezza. Se ne stanno lì, la mano sul mento a riflettere con lo sguardo perso verso il cielo. Hanno bisogno di credere che quel percorso neuronale li porterà dritti a una risposta. Sono sinceramente convinti che il dubbio, la crisi, il caos, siano propedeutici all’ordine, alla tranquillità, in una parola, alla certezza.

La vita mi ha insegnato che quando il dubbio si affaccia sulla certezza, è il mio tempo di andare.

Come nel cartone animato “Inside Out” Tristezza sfiora i ricordi e quelli, si colorano di blu, allo stesso modo, Dubbio sfiora una certezza e tutto intorno, crolla.

Non c’è altra possibilità in me.

Questa, è già la prima certezza. Forse, l’unica.

 

C’è stato un periodo in cui ricercavo certezze assolute, che mi tenessero al sicuro dalle tempeste di una mente amletica come la mia.

Alla ricerca del “certamente vero” ho fatto i più grandi errori della mia vita.

Poi ho capito.

C’è una parte di noi, che di fronte all’incertezza, comprende prima della mente, cosa stia accadendo.

È il nostro corpo sottile. Il canale ricettivo della nostra pelle.

È quel qualcosa, che si agita dentro noi e non ci da pace. È il tormento di non seguire il nostro istinto. Più cerchiamo di ammansire la bestia, più quella ci mangia da dentro. Vivi.

Guardando indietro, posso dire che alcune tra le fini più dolorose, hanno aperto il varco ad alcune delle gioie più profonde della mia esistenza.

La vita è un moto incessante in continua evoluzione e non possiamo esimerci dal viverla. Anche restando fermi, al sicuro, nelle nostre certezze, la vita accade, trova sempre il modo di mettere due persone destinate ad incontrarsi, l’una di fronte all’altra.

 La vita e il tormento di chi non segue il suo istinto.

 L’istinto, alla fine, ti prende e ti trascina esattamente dove devi essere.

 

Il cambiamento va assecondato. Non ci sono altre alternative possibili.

Lo so, quelli che dubitano ci devono comunque provare a frenare la vita. Fanno bene. Io ho smesso di fare Dulcinea però. Il Cavaliere Errante che non mi ha mai vista e mi trasforma in qualcosa che non sono, fingendo amore, lo lascio a chi nel dubbio non sa stare.

Mi fido della vita, invece.

Mi affido alla tempesta, invece.

Quando il cambiamento arriva, mollo gli ormeggi e lascio andare.

Lascio andare, perché restare ancorata al passato, non lascia spazio vitale ai nuovi inizi.

Lascio andare, perché ho fede che la vita mi darà tutto ciò di cui ho bisogno, per crescere e rialzarmi.

Lascio andare, perché nell’incertezza so che troverò paura e desiderio e tutto sarà chiaro. Suona ossimorico, lo so. Invece, è la dicotomia di tutte le nostre esistenze.

Lascio andare, perché aggrapparmi alle cose e alle persone che non sono più destinate a me, mi impedisce di credere in me stessa.

Lascio andare, perché perdere tutto, spesso, è la miglior cosa che possa mai accadere. Anche se fa male.


Non tutte le unioni sono destinate a durare, perché la verità è che molti di noi, si sposano per le ragioni più sbagliate.

Io mi sono sposata a ventinove anni con un ragazzo che, semplicemente, non era quello giusto. Non eravamo innamorati, ma lui mi faceva sentire al sicuro. Io che al sicuro non mi sono mai sentita in vita mia.

Non c’era quell’incastro perfetto di elementi, che ti fanno bruciare da dentro se non lo tocchi nello stesso istante in cui lo stai guardando. Non c’era quella chimica per la quale, anche i suoi difetti, sono qualcosa su cui scrivere poesie. Ma era il mio più vecchio e caro amico e, a quel tempo, io ero certa (avendo fugato ogni dubbio in me) che pur non avendo quel fuoco dentro, la nostra secolare amicizia, sarebbe bastata a tenere in piedi il nostro matrimonio. Poi è nata V e il mio corpo in un istante ha ricordato cosa fosse la furia dell’amore. Quello vero. Quello che non dubita, nemmeno se ti chiami Amleto.

Alla fine il mio matrimonio è deflagrato come una bomba all’interno di una camera da letto. Lanciando me al nord e lui al sud delle nostre vite. Ma l’amicizia, non ha fallito l’esame e da quella esplosione, siamo usciti ammaccati, ma vivi.

Vorrei poter dire che mi sia servito a capire chi ero. Non è così. Tuttavia, ha reso noto a me e a chi mi conosceva, che tra tutte le mie perversioni, quella che meglio mi riusciva era dissimulare l’amore per non rischiare di affrontare me stessa.

La mia tendenza a muovermi, a stordirmi pur di non guardare nella mia ferita ancestrale, hanno di nuovo lavorato da dentro. Così, ho sostituito a un matrimonio sbagliato, una convivenza affrettata con un uomo che ho amato intensamente, al quale però, non ho mai consentito un reale accesso dentro me.

Non potevo. Non ne avevo mai avuto uno nemmeno io stessa.

Alla fine quell’unione si sbriciolata in una furia di rancori, incomprensioni, raggiri e pulsioni di vita e morte.

Tutto intorno il nulla più profondo e macerie.

La fine di quell’unione, è stato il più grande dono per la mia crescita. Ho perso tutto quello che amavo e mi sono ritrovata in piedi, da sola, di fronte alle mie ferite più profonde.

Io e la mia paura dell’abbandono. Io e la mia paura di non essere amata. Io e la mia voragine, che per tutta la vita, avevo riempito di relazioni e cose per la paura di fermarmi.

Una volta andata in frantumi, il mio lavoro di guarigione è iniziato.

Per la prima volta in vita mia mi sono fermata e sono rimasta nel vuoto che ho sempre sentito.

Ho permesso a me stessa di rincontrare la ragazzina che mi porto dentro, perennemente offesa dalla consapevolezza di non essere nulla di speciale, se nemmeno suo padre, l' ama tanto da restare. Per la prima volta, mi sono concessa di ascoltare i miei sentimenti. Il lutto per la perdita di un amore così profondo che si ricongiungeva al lutto per la perdita dell’amore di mio padre. 

In quel frangente, mi sono rifiutata di riempire le buche dentro me e le ho lasciate scoperte così da cascare in ognuna di esse.

Ho fronteggiato la mia oscurità. Ho guardato in faccia la Michela che avevo fatto conoscere al mio ex e ho potuto guardare alla mia relazione con lui con lucidità. Due persone piene di dolore, con fantasmi impossibili da nascondere che cercavano di superare i traumi senza guardarsi dentro.

E, a due anni dalla nostra rottura, mi sono perdonata.

Non c’è vergogna nella fine.

Non c’è neppure fallimento nella fine di una relazione. C’è, però, possibilità di crescita, basta accettare di attraversare il dolore e accompagnarlo fuori dalla tua vita. 


Vedrai, una mattina accadrà qualcosa di veramente buffo e riprenderai a ridere. Ti volterai e incontrerai lo sguardo di un uomo. Lui ti guarderà, tu ti illuminerai tutta, come una torcia nella notte e sarà luce. Ogni cosa illuminata, in luoghi nascosti dentro te che nemmeno sapevi di avere e sarà la porta sulla nuova te. Sarai finalmente, inesorabilmente viva e incontrerai l’amore con occhi che sanno vedere. Quell’uomo confonderà ogni tua certezza e tu, comunque, non saprai mai più dubitare.

Perché l’amore è tutto, meno i dubbi.