venerdì 22 giugno 2018

Lettera ad un orco in fuga

Caro Orco,
il tempo trascorre lento da queste parti e ogni lancetta in movimento, è un ceffone in pieno volto.
Oggi è stato un giorno speciale o, almeno, così dicono. Compio trentasei giri di boa e il fiato si fa un po’ più corto. Mentre cerco di nuotare verso te, tu agiti le acque nuovamente spingendomi più in là. Diamine, sei un osso duro te lo devo riconoscere.

Hai ragione, lo so, è, anzi io sono, uno stillicidio. Non posso dire di biasimarti, io stessa trovo spesso la mia compagnia impossibile da tollerare. Sono una mina vagante, rendo poco praticabile il concetto tradizionale di amore. Voglio tutto o niente, a volte invece, voglio tutto e non voglio niente. Sono una narcisista, un’egoista, bestemmio molto e faccio incazzare perfino i Santi. Hai ragione a star fermo sulle tue posizioni. Vivo come ho sempre dovuto fare nel qui e nell’ora, al limite, cercando riparo nel passato, ma sono letteralmente incapace di pianificare o, anche solo, sognare un domani. Magari perché, troppe volte, quel domani ha bussato alle mie porte per poi scappare. O, forse, se la vuoi fare più epicurea di quel che sia, perché il domani non mi riguarda. Il domani è il mio grande assente. Hai ragione, lo capisco, ti capisco sono una donna in guerra mentre tu aspetti tempi di pace, ma la pace non è mai stata merce comune nella mia vita e, spesso, troppo spesso, finisco per non riconoscerla. Belli nomen omen. Nata dalla guerra di due cuori tanto grandi da divorarsi l’un l’altra. Cosa ti aspettavi tu da me? Sono nata per fare la guerra, ma saprei farti sentire la pace tra le mie braccia se solo tu me lo concedessi. Ma non vuoi, non puoi. Così ami dire. Hai ragione o, forse, no. Non so più nemmeno io quale prezzo dare alla possibilità reale che tu abbia ragione, che non ci sia futuro per due cavalli matti come noi.
Hai ragione a stare fermo sulle tue posizioni, se questo è quello che vuoi, ma io non posso stare ferma mentre mi fai male, non è nella mia natura. Non posso aspettare che piano, piano si riesca a fare a meno l’uno dell’altra. Ogni giorno trascorso separati, aggiunge una tacca alla distanza che so diverrà definitiva tra di noi. Eccolo il mio stillicidio, invece. Io che vorrei starti vicina dentro e fuori. Tenerti addosso perché questo è amarti: sentirti come fossi tu la mia pelle e, ogni volta che ti allontani, sentire come se qualcuno mi stesse strappando via la pelle. Fa male, ogni, dannata, volta. Ti strappi via e non so come impedirtelo. Un giorno ti sveglierai e non sentirai più il naturale istinto di telefonarmi, mentre io, testarda, sarò ferma sulle mie posizioni a cercare di ricucire una pelle ormai logora. Allora, mi chiederai, che si fa ora? Nulla. È una situazione senza soluzione di sorta. Devo attraversare il dolore. Tutto. In fondo, non conosco altre strade se non il centro dell’uragano per non sentire il vento. Brucia, fa male, va e viene ad ondate irregolari e non posso prevedere il pianto. Funzionano così i cuori spezzati, non è vero? Vivo le mie giornate nella totale normalità, a volte dimenticando che tu non sei più qui e poi, d’improvviso, la memoria mi investe violenta. Tu non ci sei più e il dolore torna a farsi sentire con il medesimo indice di intensità. Non un milligrammo di meno. Sto male. Sto malissimo e non l’avrei mai creduto possibile. Dirlo mi aiuta. Non dormo più, non mangio più. Devo arrivare dall’altra parte di questo dolore. Non lo tollero più. Tu non me lo puoi togliere, io non me lo posso evitare. Non c’è molto di cui parlare.

Sono nata il giorno del solstizio d’estate, porto dentro l’odore del grano e le ore dilatate del sole e della luce nel giorno più lungo dell’anno. Questo solstizio, questa aria di attesa del sole, del caldo, del mare è sempre con me. La sua natura intrinseca di cambiamento io me la porto dentro, per questo, so che la mia burrasca richiede porti immensi entro cui consumarsi. Spazi che tu hai dentro, orco, e che però, non vuoi dare.
Cosa mi tiene ancora qui, alle porte della tua palude? È forse, la mia incapacità di amare me stessa che mi rende naturale accettare che neppure questa volta, sono io il centro del mondo? È, davvero, questo quello che tu pensi io sia? Qualcuna per la quale non vale la pena lottare, cambiare? Solo questo? Dove sono le promesse di un amore che mi volesse spettinata? Dell’orco che non si stancava mai di leggere le mie espressioni? Dove diamine è finita l’idea dell’orco giusto che appoggiava il mio volo e mi faceva sentire sempre sicura? Se c’era un prezzo da pagare perché non l’hai esposto al cartellino? Perché mi hai fatta innamorare?

Tutte queste risposte delle quali sono alla ricerca, restano inevase.È nella natura stessa delle domande, non esistono risposte assolute, vero? Tu resti fermo sulle tue posizioni. Posizioni di certezze, di forza e di stasi. Io resto nei miei dubbi. Nel moto dubitativo che mi spinge in avanti. È forza anche questa, la forza di non sapere dove andare, eppure, andare.
Tu che hai il gene del viaggio, dovresti saperlo. In questo frangente sembra sia tu ad esercitare la forza maggiore. Passerà, o, magari, scoprirò di non essere forte come credevo, o, ancora, che c’è un orco a questo mondo, più forte di me.
Chi lo sa? Il bello, il mio vero viaggio è scoprirlo.

giovedì 14 giugno 2018

Di orchi e di sogni infranti.

Cose in cui credo:

-nell’idea di amare con semplicità. Completamente, senza remora alcuna e poi, saltare, sapendo che la probabilità di cadere e farsi male è, in proporzione, più alta di quelle di successo; comunque saltare.
-nel mare al cui cospetto tutto mi è possibile, anche portare la pace in Medio Oriente, per dire.
-nel vino rosso, perché porta con sé tutte le risposte di cui ho mai avuto bisogno. Proprio, tutte.
-nei dubbi, essi, infatti, chiarificano la via. Sempre.
-nel bacio perfetto, quello che quando lo assaggi ti fa girare la testa, non è vero? Chi di voi non l’ha provato? Quello che il mondo intorno tace, ci siete solo tu, l’oggetto del desiderio, le vostre labbra e tutte le parole che il vostro cuore sussurra in quei brevi istanti di eterno.
-nell’amor proprio, perché nemmeno il bacio perfetto dovrebbe impedirti di guardarti allo specchio
-nel silenzio. Ancora la lingua più universale e difficile da imparare.

Mi hanno insegnato, che se fai una lista delle cose che davvero contano, se la tieni sempre a portata di mano, cuore e mente, alla fine, troverai la risposta che cercavi. Il casino, è quando le risposte che trovi, non ti piacciono. Avete presente?
Tra sette giorni compirò trentasei anni. È un’età strana questa. Sembra di vivere una seconda adolescenza che uno poi potrebbe dire “e cosa vuoi di più dalla vita? Vivere la tua adolescenza con le consapevolezze di un’adulta” tranne poi scoprire, a quasi quarant’anni, di aver disimparato la capacità di giudizio acquisita lungo il corso di una vita. Forse l’hai tutta riversata sul non far morire per assideramento tua figlia? Forse tutto quello che sapevi, la convinzione di saper leggere gli avvenimenti con il raziocinio di un’adulta, forse tutto questo, l’hai dimenticato sei anni fa nella sala della croce rossa durante il corso di disostruzione pediatrica? Forse oggi sai fare la manovra di Heimlich, ma non sai capire se hai a che fare con uno stronzo? Forse. Non saprei. Come vi ho già detto ho disimparato la vita, ultimamente.

Come quando ti spezzi un braccio e dopo quaranta giorni di ingessatura, devi riprendere confidenza con la sua capacità articolare e hai paura anche solo ad alzare una tazzina di caffè. Tu sai che puoi farlo, solo che non ricordi di poterlo fare. Ecco, io so che sono in grado di riconoscere uno stronzo, ma, in qualche modo, decido di non seguire il mio codice morale, seguo quello che mi consigliano gli altri e lascio che lo stronzo, ferisca me. Lo so che sapete di cosa parlo. Ormai, è tutto un fiorire di donne quasi ai quaranta, con acne giovanile! Gli ormoni in tempesta e il cuore bendato. A volte penso che il genere femminile stia coscientemente regredendo alla fase adolescenziale per incontrarsi, finalmente, con quello maschile! Che manipolo di narcisisti ego riferiti siamo diventati.

Per esempio, è giusto concludere una relazione perché uno dei due vuole figli e l’altra, no? A prima vista è un atto di profondo amore. Della serie, la mia libertà inizia in me e finisce dove inizia la tua. Oppure, ti amo a tal punto da non volerti chiedere di fare un figlio. E, dall’altra campana, ti amo così tanto che riconosco il tuo bisogno umano di procreare, di lasciare un pezzo di te al mondo che ti lascio libero di andare. Tutto molto bello. Tutto molto maturo. Tutto molto preconfezionato. Tutto, molto, finto. Lui cerca una fattrice, non una donna. Perché, amica, se volesse un figlio da te, se volesse mettere un pezzo di sé dentro te, aborrirebbe la sola idea di avere un qualsiasi altro figlio che non avesse i tuoi occhi o il tuo naso. E lei? Lei è una che con ogni probabilità, non si dovrebbe riprodurre. Non è vera la storia per la quale ogni donna ha l’istinto materno. In generale, le donne non lo hanno di default a meno che, tu non sia educata in seno ad una comunità Amish e, anche in quel caso, te lo hanno inculcato non ce l’hai perché sei la Vergine Maria. Alcune, lo sviluppano appena scoprono di essere incinta (io non ci credo, ma molte giurano di sì), altre, al primo vagito, altre, nemmeno entro la laurea del figliolo e, tuttavia, fanno il loro mestiere di madri, e, tuttavia, amano i loro figli, perché l’amore che si nutre nei confronti di un figlio, è una specie di maledizione alla quale non ti puoi sottrarre. È un bene involontario. Ma come essere umano quella donna lì, è bruciata, perché non voleva fare un figlio, ma ha fatto un figlio. È diverso.
In generale, le donne si dividono in quelle che sanno che diventeranno madri, perché pensano che così giri il mondo e donne che non se lo sono mai chieste. Di solito le seconde sono quelle che le guardi e le ingravidi. Ecco, di solito la seconda tipologia di donna, è quella che dirà all’uomo in oggetto che non vuole figli. È un assunto vero? Forse. Il punto è che se l’uomo l’ama deve voler restare, a prescindere dalla riproduzione. Se non resta, semplicemente, non ti ama. Pietra sopra.
O, più verosimilmente, in donne che ammettono che la maternità le fa tremendamente soffrire e, donne che ti raccontano ma che bel castello marcondirondirondello.

Non è così difficile da comprendere, amica. Hai una laurea e non sai decifrare il comportamento di un altro essere umano?
Quanto ancora lascerai che lui si arroghi il diritto di non rispondere ai tuoi whatsapp, quando tutto ciò che fai è cercare di capire cosa stia accadendo? Ma, allo stesso tempo, quante altre volte vorrai porre una domanda per la quale hai già una risposta? Non c’è niente di più morto di un amore morto; se lui ha smesso di amarti per un solo istante, allora, nulla gli impedirà di farlo per il resto del tempo che potrete condividere. Tu lo sai, eppure, sembra sia una tua priorità ricoprirti di vergogna, in nome di cosa? Vuoi davvero stare qui a mendicare che lui ti ami?
Fallo andare per la sua strada, siediti sulla riva del fiume e aspetta di vedere il cadavere del tuo nemico passare, perché passerà, amica, ci puoi giurare. Forse ora non lo credi. Forse, ora non vedi la tua luce perché hai concesso ad un uomo di eclissarti. Ancora una volta, anche quando il tuo papà ti ha vista brillare.

A dispetto di quanto pensassi, hai visto?! Non lo fai perché sei la principessa smarrita di papà. Lo fai, perché non hai abbastanza stima di te stessa. È solo questo che ti rende meno amabile amica.

Non è il tuo cattivissimo papà. Sei tu. Sei tu a rendere accessibile il tuo cuore al dolore, al sopruso e all’abbandono. Sei tu che gli hai concesso di entrare e di uscire come fossi un cesso pubblico. SEI TU. Non è il tuo papà, non sono i fantasmi del tuo passato, non è nemmeno lui. SEI TU. Non hai saputo amarti nemmeno questa volta e non conta quante volte hai pregato Budda o chi per lui, di indicarti la via dell’amore, tu resti sempre la ragazza che non sapeva amare.
Quella che continua incessantemente a provarci ad essere amata. Una volta, almeno una volta e cade sempre nello stesso patetico errore. Una folle, come direbbe qualcuno, che persiste nell’errore pensando, in qualche modo perverso, di riuscire a cambiare il risultato. E invece, no, il risultato non cambia.
Gli orchi buoni non esistono, amica. Ora lo sai anche tu. Non c’è spazio per principi, draghi e orchi nella tua fiaba. Sei solo tu e un cazzo di mostro. Cosa farai, scapperai ancora? Cercherai riparo nell’abbraccio di un altro, più nuovo, eroe che prestissimo, troverà troppo complessa l’avventura dell’amarti e andrà altrove, in un castello con marmocchi e pasta al pomodoro? O, invece, questa volta, lo guarderai negli occhi il mostro e gli sussurrerai che lui esiste solo perché tu lo rendi possibile?
È questa l’unica domanda, amica.

“Hello, i’ve waited here for you. Everlong”