lunedì 10 agosto 2015

Di scrittura e biscotti americani.

Scrivere bene, per alcuni è come sfornare biscotti. Avete presente i cookies americani? Piccoli dischi profumati, perfetti, bitorzoluti al punto giusto con scaglie di cioccolato e quel gusto prima dolce, poi subito, il sentore del bicarbonato salato, a completare la sinfonia? Ecco, scrivere un romanzo, per me significa sfornare un'invitante teglia, di biscotti americani.
Tutti credono che sia semplice fare i biscotti e, analogamente, tutti credono sia facile scrivere.
Ah, hai scritto un romanzo? Ah, hai appena sfornato una teglia di biscotti? Ne prendo uno, grazie. Uguale, no? Non fa una piega.
In pochi si chiedono quanta fatica costi, sedere davanti a una pagina bianca. Il terrore viscerale, di non riuscire a riempirla e il sospetto, una volta riempita, che quello che hai scritto sia aria fritta.  Roba ridondante, già sentita, inconsciamente copiata a qualcuno, perché, inutile dirlo, tutti sarebbero capaci, di fare meglio. E poi, quando la storia comincia a prender forma, scoprire che non hai idea di quali nomi usare. Constatare che non riesci ad entrare a un livello più profondo di conoscenza con quei personaggi che, tu stessa, hai creato.
Non so se sia o meno, questione di geni speciali, talenti innati o fattore X, chiamatelo un po' come vi pare. Spesso, mi illudo sia questione di perseveranza, di abitudine alla fatica e pura e semplice professionalità che, col tempo, si spera, si acquisisce. Questo, in un certo senso, mi mette al riparo dal terrore del fallimento assicurato, perché ho 33 anni e poca esperienza se, paragonata alla maggior parte degli scrittori che amo. Ecco perché, quando acquisto un libro, non guardo mai, la bio dell'autore. Ho paura di deprimermi nello scoprire una data post o coeva al 1982. Già se riporta una data che so, tra il 1975 e il '79, mi sento al sicuro. Sento come se la dea della scrittura, nel mio subconscio con le fattezze della statua della libertà, mi dicesse: "ehi, amica, tranquilla, hai ancora un quinquennio anno più, anno meno. Puo' ancora succedere di tutto!" e poi, magari, la immagino lì che dice dammi il cinque e tutto torna a splendere, e gli unicorni e gli arcobaleni restano fermi dove sono. Voglio dire, non sarebbe stupendo? Altre volte però, mi capita di leggere libri talmente ben scritti, da non poter fare a meno di pensare: questo non ha nulla a che vedere con l'abnegazione, questo è scrivere, nella sua forma più intelligibile. Una capacità che trascende tutto. La sfrenata volontà dello scrittore di creare, la perseveranza del novellino, la storia raccontata stessa. SCRIVERE, punto. In quei momenti, mi chiedo, ma che diamine scrivo a fare? Poi, ovvio, scrivo lo stesso, perché scrivere mi rende felice, ma questo interrogativo non smette mai di farmi compagnia. Una compagnia, non richiesta, ma che forse mi sprona a far meglio, quando non mi butta col morale sotto terra. E' per questa ragione, che quando arriva il momento di scrivere, di riunire tutti i post it, tutte le idee e tutte la parole, non leggo. Non voglio sentirmi in competizione con i libri e gli scrittori che ho amato e cerco di evitare il più possibile la contaminazione perché, se è vero che quando uno scrittore mi entra nel cuore non lo abbandono più, è pur vero che rischio di farmi influenzare dagli stili altrui. Ecco, qui poi entro in un altro turbinio di seghe mentali. Ma io ho uno stile? Non ne ho idea. Scrivo bene, benino, male o malissimo? Altro interrogativo senza risposta.
Un'altra cosa che mi domando, è che fine abbia fatto,  il fuoco sacro che teneva Baudelaire sveglio alle quattro di notte per scrivere le sue poesie. Dove sia la personalità borderline maniaco compulsiva di Virginia Woolf così squisitamente artistica. Dove siano gli abusi di Charles Bukowski, il delirium tremens di Edagr Allan Poe, la reclusione volontaria dell'inimitabile Emily Dickinson, l'omosessualità e il carcere di Oscar Wilde o il suicidio di donne come Sylvia Plath e Marina Cvetaeva. Al contrario, io ho sempre vissuto una vita tranquilla. Ho avuto i banali problemi della maggior parte delle persone cresciute negli anni '90. Genitori separati, non in maniera civile, famiglia allargata, nuovi equilibri da creare, nuovi affetti e poi gli ormoni dell'adolescenza eccetera eccetera e poi sì, l'abbandono da parte di tuo padre, l'aver perso di vista per venti e più anni, i tuoi fratelli dal lato paterno, per poi scoprire che hanno nuove famiglie, figlie che ti somigliano in modo impressionante e che ahimè, qualcuno ha anche perso i capelli, vero Cocco? Ma, come vedete, sono tutte cose superabili. Almeno, io sono andata oltre. Sono altrove e chi ci ha perso alla fine della fiera, non sono stata io. Viene quasi da pensare, che senza questi eventi tragici, uno scrittore non sia in grado di possedere la propria anima, la stanza tutta per sé e scrivere, finalmente.
Voglio dire, io alle quattro di notte, cavalco il mio unicorno e non smonto fino alle 6.30 del mattino col primo caffè della giornata. Che speranza ho, allora io?
Dove si colloca la mia anima in tutto questo? Quale porta della mia anima devo aprire, per trovare la mia stanza? Anche questo, è uno dei motivi di essere del blog. Almeno, è per questo che si chiama Stanza antipanico. In fondo,  questa stanza, mi consente di fare la conoscenza e in seguito, se sarò onesta al cento per cento con me stessa, mi consentirà di possedere la mia anima e alla fine, magari, sfornerò una profumata teglia di biscotti americani anche io.

4 commenti:

  1. Michi, mi ha chiamato un unicorno, dice che stanotte vorrebbe dormire! ��
    Per inciso: io i capelli li rado! ��

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    1. Cocco, li radi perché hai un'incipiente calvizie, fratello adorato. :) <3

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