giovedì 30 giugno 2022

Sulla semplicità e i suoi poteri. Un Manifesto per tutti i tutti danneggiati di infanzia come me.

Quella della guarigione della ferita di infanzia è una dinamica dalla quale più scappi, più non hai scampo. Non basta conoscerne le motivazioni. Farne l’anatomia con ostile disincanto. Non basta dirsi non è colpa tua, eri una bambina. Devi sederti con la tua ferita ogni giorno e, ogni giorno, accettare che è lì, una cicatrice che non andrà via. Io ci provo. Le parlo e cerco risposte. A volte arrivano come enormi elefanti nella stanza che faccio fatica a credere di non aver mai visto, altre volte, invece, esplodo come una supernova e brucio ogni ponte io sia stata in grado di costruire in quaranta giri intorno al sole. Quando questo accade, più spesso di quanto ami ammettere, seguono giorni di contrizione, pentimenti e autolesionismo. Per lunghissimo tempo ho ritenuto vero, scoppiando nella vita di alcuni che, al mio fianco, ci fosse spazio solo per un guerriero. Qualcuno dotato di coraggio, che accettasse la mia condizione di autismo emotivo –citando le parole di qualcun altro - e accettasse che non sono in grado di frenarmi quando, con minuziosa attenzione, faccio di tutto per farmi odiare. Per anni ho pensato, non sono io, non è questa Michela che vedi di fronte a te a ferirti con chirurgica ossessione, è la bambina ferita. Oggi so che sbagliavo. Oggi so che non era il mio trauma a farmi distruggere ogni rapporto mai costruito con un uomo. O meglio, non era solo il trauma dell’abbandono. È che la bambina ha costruito un sistema di valori inarrivabili nella sua mente. La figura idealizzata di un uomo che, molto semplicemente e, francamente per fortuna, non esiste. Un superuomo che, come avrebbe detto Nietzche è un oltreuomo. L’evoluzione, il superamento dell’uomo come lo conosciamo. Per tutta la mia vita di giovane donna adulta mi sono innamorata del super uomo che creavo a partire da un piccolo guizzo emotivo che alcuni (pochissimi, a dire il vero) erano capaci di farmi sentire. Poi la vita accadeva, quel super uomo si sgretolava davanti ai miei occhi che increduli non accettavano l’onta ricevuta. Come osi essere mediocre? Come osi vivere nella banalità? Con questo medesimo meccanismo neurale sono scappata dalla vita di tutti. Poi ho incontrato qualcuno che si dichiarava semplice, ‘normale’ qualunque cosa questa parola voglia significare e ho scoperto che di semplice nella semplicità c’è ben poco. Ho scoperto che un uomo semplice, può contenere abissi inesplorati. Ho scoperto che un uomo ‘normale’ può rivoluzionare la tua esistenza, farti sentire l’urgenza di restare. Il desiderio di imparare a disinnescare le mie bombe, o almeno, a ripulire i cuori di entrambi dalla moltitudine dei tuoi detriti. A un certo punto l’ho guardato camminarmi accanto e ho pensato, ma se devo aspettare di sentire di essere realmente guarita, quando avrò la possibilità di amarti veramente? Amare con facilità senza tutta la guerra che mi porto di cuore in cuore? Quando la tua ferita sei tu, quando è cresciuta insieme a te, ha attraversato tutta la tua esistenza con te, è ragionevole pensare che non si guarisca più. Almeno, se per guarigione si intende assenza della malattia. Puoi curare il sintomo. Quello sì. Lo puoi obnubilare. Lo puoi evitare. Lo puoi fingere sparito. Dinne una, le ho fatte tutte. Un mese fa ho rotto il dito del piede destro, l’ho fasciato e per un po’ ho finto che non fosse accaduto nulla. Ci ho fatto yoga, ci ho guidato, ci ho ballato. Quando sentivo il dolore mi dicevo ah, giusto è sempre rotto. Poi ho tolto la fascia. Il dito è clinicamente guarito, eppure, continuo a batterlo e a farmi male. Sempre nello stesso punto. Una madeleine del dolore. Il mio cuore funziona così. Come il dito rotto e calcificato male del mio piede destro. Sono in riabilitazione a vita. Esistesse un gruppo di sostegno per quelli come me ci andrei a guadagnarmi un gettone dopo un anno di sobrietà- Trecentosessantacinque giorni in cui tra: esplodere o disinnescare, sono stata in grado si scegliere sempre la seconda. Conosco alcune persone che parteciperebbero alle riunioni con me, vero? Allora avremmo anche noi i nostri dodici passi. Magari suonerebbero così: 1- Ammettere di non aver alcun potere sulla tua ferita di infanzia e che, provare a controllarla, ha reso la tua vita ingestibile 2- Accettare l’idea che un potere più grande di te esiste e che quel poter può guarirti. 3- Scegliere di spostare la tua volontà e le tue azioni dall’ego ad amare la vita, Dio, nel modo in cui sei capace di capirlo che non è essere religiosi, ma solo accettare di appoggiarsi su qualcosa di diverso da te per evitare di ricadere nel tuo autolesionismo. Comprendere nel profondo che esistono cose fuori dal tuo controllo. 4- Scrivere un inventario di te stess* crudo e reale, senza aver paura 5- Ammettere alla vita, a te e almeno ad un altro essere umano, la reale natura dei tuoi errori relazionali e non dimenticarli 6- Aprirti a Dio come lo comprendi tu e solo tu. e alla possibilità di correggerti 7- Praticare l’umiltà della tua fallibilità 8- Fare una lista dettagliata delle persone che hai ferito a causa dei tuoi comportamenti e far fiorire nel tuo cuore il reale pentimento 9- Chiedere loro scusa di persona a meno che nel farlo tu non rischi di ferirli nuovamente 10- Continuare quotidianamente ad osservarti con distacco, chiedere immediatamente scusa quando ricadi nei tuoi errori 11- Imparare a contemplare ogni giorno la tua mente, pulirla come fai col resto del tuo corpo. Meditare, pregare perché tu possa svegliarti nella tua reale natura di amorevole gentilezza 12- Una volta effettuati tutti i passi precedenti, accertarsi della solidità delle tue nuove credenze e cercare di portarle agli altri che condividono la tua condizione di soggetti con traumi di infanzia Ecco, una cosa del genere, un programma così disciplinato, potrebbe aiutare quelli come noi che con l’illusione di controllare tutto e tutti distruggono ogni possibilità di felicità delle loro esistenze. Si crede troppo spesso che le dipendenze siano dall’alcol, dalla droga e basta. Esiste anche la dipendenza dal dolore. Esiste anche la dipendenza dal passato. Esiste anche la dipendenza dalle vecchie versioni di te. Sono le dipendenze più difficili da estirpare perché significa imparare a cancellare ogni schema mentale fino ad oggi conosciuto e a riscrivere interi percorsi neurali nel tuo cervello. Cancellare percorsi che hai impiegato quaranta anni a scrivere nel tuo cervello e provare a crearne nuovi. Uscire dal dogma SONO STATA FERITA DA BAMBINA= DEVO TROVARE TUTTO L’AMORE CHE NON HO RICEVUTO IN QUALCUN ALTRO e invece iniziare a pensare SONO STATA FERITA DA BAMBINA= CAPITA! ORA SONO UN’ADULTA E SO AMARMI. NON HO BISOGNO DI ALTRO. Non è una cosa che tutti sono disposti a fare. Prendersi la responsabilità di amarsi. Amati TU. Detta tu le regole di come vuoi essere amata, fallo con le giuste azioni verso te stessa e insegna agli altri come farlo. Non è una cosa da tutti nutrirsi. Ascoltare i propri bisogni e lottare per affermarli. Richiede il coraggio di affermare verità a volte scomode. Al momento però un gruppo così non esiste. Non che io sappia. Allora mi sono creata la mia personale lista di passi da compiere e cerco di restarle fedele. Mi prendo cura di me e della mia mente già da un po’ perché ho scoperto che, rinascendo ogni giorno nella disciplina, impari a ricevere quando tutto ciò che la vita ti ha insegnato, è stato dare. A volte mi gestisco, altre volte un po’ meno. Ma prendo la sua mano e la riconosco. È la mano giusta per camminare la vita. Fino alla fine. Come direbbe lui. Forse accadrà è sarà meraviglioso. Forse non accadrà, ma avrò amato con presenza e consapevolezza. Avrò amato senza portare distruzione e sarà stato comunque meraviglioso. Ishvara Pranidhana M

mercoledì 25 novembre 2020

Sulla quantica di noi stessi e la realtà che ci circonda.

Carl Jung affermava che l’incontro di due personalità è come il contatto tra due sostanze chimiche: se avviene una qualche reazione, entrambe saranno trasformate. Per sempre. Questa grande verità è la base di tutta l’esperienza di vita su questa Terra. Oltre i confini della fisica, nel pieno della quantistica, sappiamo ormai senza alcun dubbio che alla base della materia ci sono le relazioni. In altre parole, una molecola può esperire la sua realtà, solo e unicamente attraverso la relazione che saprà instaurare con un’altra molecola. Allora, se tutto questo è vero, perché ci ostiniamo a credere di essere unidimensionali? Perché ci costa tanta fatica accettare che tutti, ma proprio tutti, viviamo una perenne dialettica interna? Veniamo educati al culto dell’ego fin da bambini e nel processo di crescita il bagaglio che ci portiamo sulle spalle di idee, di etichette che ci sono state affibbiate nel tempo diventa più imponente. Sei timida/o, sei matta/o, sei intelligente, sensibile, egoista. Così ci convinciamo di conoscerci tranne poi scoprire che, nella realtà, non abbiamo la minima idea di chi siamo nel fondo profondo di noi. Ho perso il conto delle volte in cui guardandomi attraverso lo sguardo di chi mi circondava pensavo sì, sono questa, ma sono anche questa e questa e questa. E più mi guardavo dai vostri occhi, più mi distaccavo da me tanto che a trentacinque anni non avevo più la minima idea di chi fossi. Vivevo in uno stato di annebbiamento continuo. Qualunque cosa facessi pensavo cose di questo genere: ma sono io a volerlo o è la Michela che vuole mia madre, mia sorella, mio padre, mio fratello, il mio ragazzo, la mia migliore amica, chiunque, ma non la vera me? Qualcuno ci si riconosce? Mia madre. Il capitolo più corposo della mia biografia. Mia madre è stata ed è la migliore madre che potesse essere. Sempre, anche quando credeva di sbagliare, in realtà stava facendo l’unica cosa che potesse fare in quel momento. Essere genitori significa molte cose. Mi è più chiaro, ora che sono madre da un tempo ragionevolmente lungo. Soprattutto vuol dire dare sempre il meglio di sé, anche quando pensi di essere al peggio di te. Essere lo specchio pulito nel quale tuo figlio guarda. Essere la donna che mia figlia riceve come primo modello. Un modello che nell’adolescenza o forse più in là, lei ripudierà, ma al quale poi tornerà. Dentro me convivono molte Michela. Ho impiegato svariati anni e parecchie centinaia di euro in terapia per accettarlo. Mi duole dire che, nel mio caso specifico, la chiave di volta non è stata la terapia, non perché io creda sia la scelta sbagliata in assoluto, ma perché non mi sono mai posta in una posizione relazionale col mio terapeuta, di conseguenza, qualunque tentativo di comunicazione da parte sua era sempre un completo fallimento.Non ascoltavo. Li vivevo come persone da dover accontentare dicendo loro ciò che pensavo volessero sentire e, in fondo, è ciò che ho sempre fatto con tutti. La mia chiave di volta, come molti di voi sanno, è stato il tappetino di yoga dove ogni giorno sono in relazione con me stessa e con la realtà che mi circonda. Sul tappetino, ho scoperto come accendere il canale uditorio e quello percettivo e come spegnere il mio cervello e le idee a lui avvinghiate. Sul tappetino ho imparato ad osservare. Non importa come, importa che ora sono consapevole della mia molteplicità e che tutti funzioniamo come multipli. Così ho imparato a concedermi il lusso delle delusioni. Dentro me c’è la piccola Michela. Ha subito un abbandono, necessita di ricordarlo e validarlo ogni giorno per non sentire ancora il torto e l’offesa subita. C’è la Michela moglie che non riesce a darsi pace perché non è capace di stare in un’unione normale con un uomo. La Michela che soffre perché ogni persona fino ad oggi incontrata la colpevolizza di essere complicata in amore, in amicizia, in famiglia. C’è la Michela con le manie di controllo che ha bisogno di gestire tutto e tutti. Ci sono parti oscure dentro ognuno di noi. Parti di cui ci vergogniamo e che cerchiamo di nascondere alla vista del mondo. Parti che saremmo disposti a fare di tutto per gestirle, anestetizzarle, ammutolirle, spegnerle. E in ognuno di noi c’è un impietoso giudice interno. Spesso le due parti sono in conflitto. Il giudice non riesce a tenere a bada il bambino umiliato che irrompe nel mezzo di situazioni delicate della nostra vita a richiedere che sia riconosciuto quel dolore. Allora, interviene una terza parte, ben più pericolosa delle prime due: il pilota automatico. Lo riconoscete? Quello che mantiene viva la memoria del dolore dentro noi. Quello che: io questo dolore non lo voglio vivere ancora una volta e allora azzera tutto . Ci spegne il cervello e si mette in un’unica modalità: EVITARE IL DOLORE e diamine ci riesce sempre. Ognuno col suo modo. Non è forse vero? Un bicchiere di troppo, sostanze stupefacenti, sesso promiscuo, sesso estremo, porno, stalking, bulimia, anoressia, rompere con chi ami prima che rompa lui/lei con te, prenderti cura di tutti quelli che ti circondano eccezion fatta per te stesso. Ne potrei nominare molte altre. La maggior parte di noi convive con una personalità da dipendenza senza nemmeno averne idea. E le dipendenze non sono solo quelle del tossicodipendente per cui risulta necessaria la riabilitazione Le dipendenze sono reazioni di difesa. Sono richieste di aiuto da noi, per noi. È la parte di noi che ci chiede di spegnere il dolore. Quindi che si fa? Ci lasciamo andare alle dipendenze e agli estremi per distrarre il nostro cervello dal dolore? Per stordire la sofferenza? Ovviamente, no. Tuttavia, ho imparato che riconoscere la mia personale tendenza all’autodistruzione e all’autosabotaggio è il primo passo per tenermi sana e equilibrata. Diventare madre lungo questo processo, mi ha fatta sbandare in principio, ma poi mi ha aiutata perché mi tiene sempre attenta su che tipo di donna voglia essere per onorare mia figlia e cercare di darle il buon esempio. Ecco, credo che questo sia un buon esercizio che tutti dovremmo fare con o senza figli. Che tipo di persona vuoi essere per onorare te stesso e la vita che ti è stato concesso di vivere? La buona notizia è che tutti abbiamo al nucleo di noi, strato dopo strato, al netto del bambino, del giudice, dell’autolesionista, un adulto che può gestire la nostra molteplicità. Possiamo essere noi stessi nostri genitori. La nostra natura è mutevole e molteplice, cambia nel corso delle relazioni che instauriamo con l’altro. Tutte queste nature, possono coesistere. Dobbiamo solo imparare ad essere più compassionevoli con noi stessi. Dobbiamo imparare ad amarci, a perdonarci. Guardarci allo specchio e dire a noi stessi: io posso aiutare me stesso. Vuol dire uscire dall’obsoleta idea di noi come un’entità statica e monolitica che ci viene data alla nascita e, capire, che quella con noi stessi è la prima relazione sulla quale siamo obbligati a lavorare fino alla fine dei nostri giorni. Vuol dire non avere paura di chiederci: chi sono io? Andare alla scoperta di noi ogni, singolo, giorno. HAMSA

domenica 27 settembre 2020

Dell'autunno che insegna, le foglie che vanno e l'amore che resta.

L’autunno, come ogni anno, mi trova impreparata. 

L’aria si fa fresca, i colori più caldi. I profumi diventano pungenti, i tramonti improvvisi. Le ore si rincorrono e l’agenda si riempie.

Autunno, rallento nel corpo e provo, disperatamente, a rallentare nella mente. Provo a capire quali parti di me siano autentiche e quali, invece, una creazione del mio ego per compiacere gli altri.

È un autunno nuovo: imparo e disimparo chi sono.

Il primo da tanto nel quale non sento il peso di essere sola. 

Su questa strada che percorro da un po’ sento di essere così connessa alla terra che della solitudine non riesco ad avvertire più la presenza.

Ci hanno raccontato, che per non soffrire l’importante era non portare le nostre aspettative nelle relazioni e tutti noi, donne e uomini, ci siamo lanciati in relazioni basate sul vuoto cosmico. 

Tutti a sbandierare la nostra indipendenza, il nostro essere liberi da ogni tipo di legame. A cosa ci ha portati questo? Siamo forse più felici?

Tutti a nasconderci dietro l’apologia del dolore.  Il sillogismo perverso che giustifica una vita trascorsa nella potenzialità dell’essere felici senza però esserlo mai.

Io ho sofferto, quindi, ora tutti quelli che entreranno nella mia vita pagheranno per il dolore che mi ha provocato qualcun altro. Quanto saremo folli?

La natura invece ci insegna, se la sappiamo ascoltare, che il dolore è connaturato alla vita, che la fine non esiste e che, anzi, è solo un nuovo inizio. Non è forse questo l’autunno? Le foglie si riempiono di colore, cadono dagli alberi, preparandosi a diventare esse stesse, terra, vita. Dando così il via ad un nuovo ciclo.

Non è forse questo l’amore? La rigenerazione di un nuovo te.

Non è forse tutta la vita una preparazione alla fase successiva? 

Non è vero che non è giusto avere aspettative in una relazione. Quello che non è giusto, è avvicinarsi all’altro col carico di un passato non risolto sulle spalle. 

Non è giusto proiettare sull’altro la nostra necessità di sentire che abbiamo superato il dolore. 

Non è giusto fargli richiesta di certezze che non riguardano la coppia, ma le nostre vite come individui. Quelle, se proprio ne abbiamo bisogno, è compito nostro ricercarle.


È, invece, sano portare le giuste aspettative in una relazione.

Richiedere ad una relazione di farci sentire in un luogo sicuro, è giusto.

Richiedere ad una relazione il rispetto di noi stessi, è giusto.

Richiedere ad una relazione la fiducia verso l’altro, è giusto.

Richiedere ad una relazione onestà, è giusto.


Spesso rischiamo di confondere la necessaria consapevolezza di essere integri da soli, con l’inutilità dell’altro. Sentirsi super uomini e super donne che non hanno bisogno di nessuno, è un’altra illusione del nostro ego. Siamo esseri umani, siamo per natura predisposti all’altro. Se da un lato è vero che non abbiamo bisogno dell’altro per essere interi, dall’altro è vero che non c’è nulla di sbagliato nel vivere il nostro/a compagno/a come una fonte di gioia, di amore e di sicurezza.


Il punto della questione, terribilmente semplice se ci pensiamo, è che siamo vivi perché siamo come foglie su un albero che aspettano di cadere per poi rinascere. 

Possiamo chiamarlo come ci pare: guarire, crescere, tornare a noi stessi, evolvere; la verità è una: si chiama vita e non conta quanto decidiamo di impedirne il corso mettendoci il peso dell’ego che ci piace chiamare “ragione”, la vita accade e sa, prima di noi, cosa fare.

Per questo posso scegliere di lasciarti andare senza che il mio ego mi prenda a ceffoni. Per questo sorrido quando dici che entro nel mio mutismo. Vedi, non combatto più contro la vita. Ho fiducia che la vita è mia alleata. Ho fiducia che dare amore porti sempre e solo verso l’amore. Vorrei, Dio se lo vorrei, che fossi tu, ma sono consapevole che se così non dovesse essere, io sarò stata e resterò fedele a me stessa e al mio cuore.

Ho imparato che c’è un tempo per insistere e un tempo per andarsene. Raramente corrispondono a quello che ci sembra più semplice fare.

L’autunno insegna ad avere la saggezza di riconoscere entrambi.


Nel frattempo, prendo una sedia, mi metto a sedere e guardo le mie foglie andare.


martedì 22 settembre 2020

"Di yoga, di erbe, psiche e di omeopatia". Pensieri sparsi tra quattro stracci di Guccini e il giorno dopo le elezioni

Tutta la vita mi sono sentita isolata. Intrappolata in una terra desolata, inospitale, inarrivabile. 

Ho accettato per la maggior parte del tempo, che le persone mi dicessero chi ero, perché era più semplice dar loro quello che si aspettavano da me. Una storia vecchia come il mondo, vero? Non ho mai pensato di valere lo sforzo che la mia vita incasinata richiedeva, agli sventurati che si avvicinano, per conoscermi davvero. Per questo sentirmi incompresa e delusa, non mi feriva quanto avrebbe dovuto.

Ho trascorso più della metà della mia esistenza su questa Terra a mettere a tacere me stessa. Più la consapevolezza di me cercava di prender parola, più io le stringevo il collo. Una lotta estenuante, talmente serrata, che ad un certo punto, sono rimasta sola con voi altri e di me stessa mi sono dimenticata.

Ero disperatamente infelice però.

Continuamente come sott'acqua. La gola chiusa, per paura di vedere rotolare fuori dalla mia bocca, parole come perle da un'ostrica.

Avrei potuto continuare a vivere così? Me lo domando spesso. Conosco poche persone sincere con loro stesse. Conosco pochi individui che alla frase "io voglio essere felice", poi facciano corrispondere azioni reali, tese alla ricerca di quella cosa lì. Il nostro sacro Graal: la felicità.

Dicono esistano momenti cesoia nelle vite di tutti. In trentotto giri intorno al sole ne ho contati tre.

L'incontro con lo yoga è, certamente, uno di questi. Avvicinarmi al tappetino è stato un processo naturale. Questa disciplina che è l'Ashtanga Yoga sta lentamente cambiando tutto di me. Ha iniziato dal corpo, lo ha reso più forte e stabile e poi, come una goccia che consuma la roccia, ha scalfito la mia pelle e mi è entrato dentro, facendomi dono della cosa più preziosa che ho: il ricongiungimento con me stessa.

Sento piano, piano le resistenze del mondo venire meno e sparire ogni forma di violenza dalla mia vita. Anche le parole che affollano da sempre la mia mente, sono parole nuove. Rinnovate nella pura e semplice gentilezza. Non c'è violenza alcuna nei miei pensieri, nemmeno quando perdo la pazienza e non c'è violenza nei miei gesti. C'è una strada che percorro dall'esterno verso l'interno, svariate volte al giorno, dove mi prendo per mano e mi perdono per essere stata la peggiore e più mediocre versione di me. Mi perdono per aver lasciato che la violenza del mondo corrompesse le mie intenzioni. Mi perdono per non aver saputo ascoltare la mia voce che mi diceva chi ero e cosa volevo. Mi sono forse vergognata per non essere all'altezza della vita pragmatica che credevo (chissà poi perché) di dover vivere? Ancora non lo so. Ma non mi sono amata. Nemmeno guardare negli occhi mia figlia mi ha dato la misura di cosa potesse essere amare me stessa. Anzi, diventare madre mi ha resa ancora più inadeguata al ruolo di donna perché mi ha fatta sentire perennemente sullo scoccare di un gong. Gong! Tempo scaduto, sei diventata grande e non sai ancora chi sei.

Ma per fortuna dal fondo si risale. Ho scoperto che l'amore per me stessa è possibile, ora che mi conosco. Ora, che piuttosto che preoccuparmi di essere perfetta, mi preoccupo di essere intera. Ho scoperto che le mie zone d'ombra sono lì per aiutarmi a navigare questa vita. Tutto ciò che ho detto e fatto, mi ha portata dove sono: in un non luogo nel quale le mie ferite, le mie paure, le mie ansie, i miei demoni sono liberi di far chiasso. Il non luogo in cui do a tutti quanti loro il benvenuto, consento a tutti noi di respirare e, respiro dopo respiro, loro si calmano e la vita riprende da dove si è interrotta.

Forse è così che ci si ama? Attraverso l'accettazione anche un po' sbracata di sé stessi?! Non posso dire di aver trovato la risposta, ma credo sia l'unica opzione possibile per me. Ho dovuto accettare ogni parte di me per amarmi e non nascondo, che ancora mi risulta difficile. Sono ancora più numerosi i giorni nei quali mi sto cordialmente antipatica, ma a differenza di prima, mi accetto e so che domani, forse, mi troverò più tollerabile. 

Al punto in cui sono cerco di mantenermi salda nella mente e stabile nel corpo. Cerco di dimenticare la sensazione che mi ha sempre tenuta per mano d'essere un giunco al vento.

Faccio del mio meglio per volermi bene, per prendermi cura di me e per rispettarmi. Quest'ultima cosa, non mi riesce ancora molto bene. Ho idea sia un processo di apprendimento lungo una vita. Almeno quanto lo yoga. 

Moltissime sono le domande che mi pongo guardandoti.

Sono abbastanza intera da poter apportare dei benefici alla tua esistenza o, invece, rischio di rovinare il tuo equilibrio?

Posso regalare alla tua esistenza un'esperienza di amore puro, consapevole, adulto, libero dal senso di possesso e di narcisismo di noi esseri umani?

Posso darti serenità o ti chiamo alla guerra?

Posso offrirti tranquillità e godere della tua o ci ritroveremo in tempesta?

Posso guardarti essere immenso senza dover rendere me piccina?

Posso fidarmi del coraggio che ti ha mosso fino ad oggi nel mondo? Saresti ancora così coraggioso nel bel mezzo di me?

Non lo so. So qualcosa di nuovo però. Questa è una novità assoluta nella mia vita.

So che pormi queste domande è prova provata dell'essere diventata donna. 

So che ti lascerei vivere la tua vita per te stesso e nessun altro. So che non ti domanderei mai e poi mai di darmi conto delle tue scelte. 

So che ti starei accanto nel vuoto senza aver paura dell'eco dei nostri pensieri.

So che ti guarderei, come sempre faccio, negli occhi nella coscienza di ogni singola parola che ti dico. Nelle parole che non so frenare e ti fanno sentire nel marasma. Nelle parole che non ti hanno mai detto facendoti un torto ché avrebbero dovuto gridartele.

E so che ti vorrei sempre così: col sole in fronte. Grande come sei.





domenica 13 settembre 2020

Ogni cosa è illuminata. Ovvero, come l'amore ti leva i dubbi e ti trascina al centro di te.

 Il problema con quelli che dubitano è che, in realtà, non ricercano risposte.

Loro abitano l’incertezza. Se ne stanno lì, la mano sul mento a riflettere con lo sguardo perso verso il cielo. Hanno bisogno di credere che quel percorso neuronale li porterà dritti a una risposta. Sono sinceramente convinti che il dubbio, la crisi, il caos, siano propedeutici all’ordine, alla tranquillità, in una parola, alla certezza.

La vita mi ha insegnato che quando il dubbio si affaccia sulla certezza, è il mio tempo di andare.

Come nel cartone animato “Inside Out” Tristezza sfiora i ricordi e quelli, si colorano di blu, allo stesso modo, Dubbio sfiora una certezza e tutto intorno, crolla.

Non c’è altra possibilità in me.

Questa, è già la prima certezza. Forse, l’unica.

 

C’è stato un periodo in cui ricercavo certezze assolute, che mi tenessero al sicuro dalle tempeste di una mente amletica come la mia.

Alla ricerca del “certamente vero” ho fatto i più grandi errori della mia vita.

Poi ho capito.

C’è una parte di noi, che di fronte all’incertezza, comprende prima della mente, cosa stia accadendo.

È il nostro corpo sottile. Il canale ricettivo della nostra pelle.

È quel qualcosa, che si agita dentro noi e non ci da pace. È il tormento di non seguire il nostro istinto. Più cerchiamo di ammansire la bestia, più quella ci mangia da dentro. Vivi.

Guardando indietro, posso dire che alcune tra le fini più dolorose, hanno aperto il varco ad alcune delle gioie più profonde della mia esistenza.

La vita è un moto incessante in continua evoluzione e non possiamo esimerci dal viverla. Anche restando fermi, al sicuro, nelle nostre certezze, la vita accade, trova sempre il modo di mettere due persone destinate ad incontrarsi, l’una di fronte all’altra.

 La vita e il tormento di chi non segue il suo istinto.

 L’istinto, alla fine, ti prende e ti trascina esattamente dove devi essere.

 

Il cambiamento va assecondato. Non ci sono altre alternative possibili.

Lo so, quelli che dubitano ci devono comunque provare a frenare la vita. Fanno bene. Io ho smesso di fare Dulcinea però. Il Cavaliere Errante che non mi ha mai vista e mi trasforma in qualcosa che non sono, fingendo amore, lo lascio a chi nel dubbio non sa stare.

Mi fido della vita, invece.

Mi affido alla tempesta, invece.

Quando il cambiamento arriva, mollo gli ormeggi e lascio andare.

Lascio andare, perché restare ancorata al passato, non lascia spazio vitale ai nuovi inizi.

Lascio andare, perché ho fede che la vita mi darà tutto ciò di cui ho bisogno, per crescere e rialzarmi.

Lascio andare, perché nell’incertezza so che troverò paura e desiderio e tutto sarà chiaro. Suona ossimorico, lo so. Invece, è la dicotomia di tutte le nostre esistenze.

Lascio andare, perché aggrapparmi alle cose e alle persone che non sono più destinate a me, mi impedisce di credere in me stessa.

Lascio andare, perché perdere tutto, spesso, è la miglior cosa che possa mai accadere. Anche se fa male.


Non tutte le unioni sono destinate a durare, perché la verità è che molti di noi, si sposano per le ragioni più sbagliate.

Io mi sono sposata a ventinove anni con un ragazzo che, semplicemente, non era quello giusto. Non eravamo innamorati, ma lui mi faceva sentire al sicuro. Io che al sicuro non mi sono mai sentita in vita mia.

Non c’era quell’incastro perfetto di elementi, che ti fanno bruciare da dentro se non lo tocchi nello stesso istante in cui lo stai guardando. Non c’era quella chimica per la quale, anche i suoi difetti, sono qualcosa su cui scrivere poesie. Ma era il mio più vecchio e caro amico e, a quel tempo, io ero certa (avendo fugato ogni dubbio in me) che pur non avendo quel fuoco dentro, la nostra secolare amicizia, sarebbe bastata a tenere in piedi il nostro matrimonio. Poi è nata V e il mio corpo in un istante ha ricordato cosa fosse la furia dell’amore. Quello vero. Quello che non dubita, nemmeno se ti chiami Amleto.

Alla fine il mio matrimonio è deflagrato come una bomba all’interno di una camera da letto. Lanciando me al nord e lui al sud delle nostre vite. Ma l’amicizia, non ha fallito l’esame e da quella esplosione, siamo usciti ammaccati, ma vivi.

Vorrei poter dire che mi sia servito a capire chi ero. Non è così. Tuttavia, ha reso noto a me e a chi mi conosceva, che tra tutte le mie perversioni, quella che meglio mi riusciva era dissimulare l’amore per non rischiare di affrontare me stessa.

La mia tendenza a muovermi, a stordirmi pur di non guardare nella mia ferita ancestrale, hanno di nuovo lavorato da dentro. Così, ho sostituito a un matrimonio sbagliato, una convivenza affrettata con un uomo che ho amato intensamente, al quale però, non ho mai consentito un reale accesso dentro me.

Non potevo. Non ne avevo mai avuto uno nemmeno io stessa.

Alla fine quell’unione si sbriciolata in una furia di rancori, incomprensioni, raggiri e pulsioni di vita e morte.

Tutto intorno il nulla più profondo e macerie.

La fine di quell’unione, è stato il più grande dono per la mia crescita. Ho perso tutto quello che amavo e mi sono ritrovata in piedi, da sola, di fronte alle mie ferite più profonde.

Io e la mia paura dell’abbandono. Io e la mia paura di non essere amata. Io e la mia voragine, che per tutta la vita, avevo riempito di relazioni e cose per la paura di fermarmi.

Una volta andata in frantumi, il mio lavoro di guarigione è iniziato.

Per la prima volta in vita mia mi sono fermata e sono rimasta nel vuoto che ho sempre sentito.

Ho permesso a me stessa di rincontrare la ragazzina che mi porto dentro, perennemente offesa dalla consapevolezza di non essere nulla di speciale, se nemmeno suo padre, l' ama tanto da restare. Per la prima volta, mi sono concessa di ascoltare i miei sentimenti. Il lutto per la perdita di un amore così profondo che si ricongiungeva al lutto per la perdita dell’amore di mio padre. 

In quel frangente, mi sono rifiutata di riempire le buche dentro me e le ho lasciate scoperte così da cascare in ognuna di esse.

Ho fronteggiato la mia oscurità. Ho guardato in faccia la Michela che avevo fatto conoscere al mio ex e ho potuto guardare alla mia relazione con lui con lucidità. Due persone piene di dolore, con fantasmi impossibili da nascondere che cercavano di superare i traumi senza guardarsi dentro.

E, a due anni dalla nostra rottura, mi sono perdonata.

Non c’è vergogna nella fine.

Non c’è neppure fallimento nella fine di una relazione. C’è, però, possibilità di crescita, basta accettare di attraversare il dolore e accompagnarlo fuori dalla tua vita. 


Vedrai, una mattina accadrà qualcosa di veramente buffo e riprenderai a ridere. Ti volterai e incontrerai lo sguardo di un uomo. Lui ti guarderà, tu ti illuminerai tutta, come una torcia nella notte e sarà luce. Ogni cosa illuminata, in luoghi nascosti dentro te che nemmeno sapevi di avere e sarà la porta sulla nuova te. Sarai finalmente, inesorabilmente viva e incontrerai l’amore con occhi che sanno vedere. Quell’uomo confonderà ogni tua certezza e tu, comunque, non saprai mai più dubitare.

Perché l’amore è tutto, meno i dubbi.

sabato 15 agosto 2020

Di cuori pratici e lupi solitari.

Una cosa che tutti dovremmo capire è che, non importa quanto abbiamo sofferto, non è mai giusto lasciare la possibilità al nostro ego di prendere il controllo delle nostre esistenze.

Spesso, infatti, all’indomani di un cuore divelto, la risposta più immediata è trincerarsi in sé stessi, chiudere la porta del nostro mondo interiore con la quasi assoluta certezza, di voler e poter, bastare a sé stessi.

 

Scegliere di essere super indipendenti, abbarbicati sull’iceberg che abbiamo messo al posto del cuore, capitani del nostro vascello. Decidiamo di ricoprire il ruolo del lupo solitario. 

Ci affidiamo al vecchio giogo dei ruoli. Sei, sei… e ancora il vecchio frastuono. 

Sei una persona non amabile. 

Sei ingenuo. 

Sei debole. 

Sei dipendente dall’amore. 

Sei profondo, sei superficiale. 

Come se, sapere chi sei, definire chi sei con matematica certezza, fosse un passepartout per un’esistenza, finalmente, serena. 

Nulla di più lontano dalla verità. Sono tutte cose che fanno il gioco del nostro ego. Peccato non riguardino però, il cammino di guarigione dal dolore di un cuore spezzato. 

I cuori non saranno mai una cosa pratica, finché non ne inventeranno di infrangibili

L’ho imparato quando, a otto anni, vidi per la prima volta Il Mago di Oz.

 

Ho impiegato molto tempo ad accettarlo e sì, mi terrorizza ancora.

Entrare in connessione reale con un altro essere umano e mostrarsi vulnerabili è un atto di profondo coraggio e porta con sé un gigantesco rischio quello cioè, di farci ferire. Ancora.

Al contrario, il sentiero solitario che scegliamo di percorrere per guarire, è in realtà, la strada più facile per sigillare la nostra esistenza, renderla asettica, ermetica. Arida.

 

Quando ci concediamo di metterci in discussione nelle relazioni, perdiamo il controllo delle situazioni da dover fronteggiare, diventiamo una variabile di più complicate reazioni chimiche tra due elementi estranei l’uno all’altra. Spesso, quindi, ci troviamo a dover fronteggiare quelle parti di noi che ancora soffrono e che continuano a torturarci. Parti che, quando siamo al sicuro, nella nostra zona di conforto, nella nostra solitudine, possiamo ignorare.

 

Quello che non riusciamo a comprendere è che, l’idea che quando il nostro cuore sarà guarito non avremo più bisogno di nessuno, è una bugia. È il trauma del dolore che cerca un’ennesima scorciatoia. È l’ego che cerca di mettere in gabbia il cuore per evitargli altro dolore e, nel farlo, gli impedisce la vita perché, se non siamo a questo mondo per creare relazioni, per sentire di appartenere a un altro, allora perché mai siamo venuti?

 

Tuttavia, per essere davvero consapevoli di noi stessi e accettare il nostro primitivo bisogno di comunione con l’altro, di essere accettati, dobbiamo prima imparare ad attraversare le nostre ombre, a liberarci dell’orgoglio che ci “difende” dagli altri, ma che allo stesso tempo, ci impedisce di essere visti per quello che, in realtà, siamo. Nel nucleo più profondo.

 

Nessun uomo è un’isola. Questo luogo comune, è una delle poche verità assolute. 

Non siamo lupi solitari. Non esiste nulla del genere. I lupi sono animali da branco. 

La vita che ci è dato vivere, non deve essere un’esperienza di isolamento e disconnessione dal resto del mondo perché, di questo mondo, siamo parte integrante con tutti gli altri.

Non siamo qui per imparare l’arte egO-ista del non ho bisogno di niente e di nessuno. Al contrario, siamo qui per donarci senza fine e lasciare il meglio di noi al mondo.

 

Per questo, quando sentiamo che chiudere il cuore è l’unica strada possibile per sopravvivere al dolore, dobbiamo fare un atto eroico e ricordarci che quel dolore non è solo nostro.

È di chi ce lo ha inflitto, è di chi ci ama e ci vede star male, è nostro che lo sentiamo cibarsi di noi da dentro ed è, di tutti quelli che soffrono. Non siamo soli. Mai. Neppure nel dolore.

Dobbiamo fare gioco di forza su noi stessi e ricordarci che, quel dolore, non ci definisce e di certo non segna la fine della nostra vita. Al massimo, ne traccia un nuovo inizio. Più consapevole.

 

 La verità, è che cresciamo non con gli anni, ma con i danni.

 

martedì 21 luglio 2020

Sulla disponibilità emotiva e l'amore di sé

Hai fatto tutto il percorso, avanti e indietro, milioni di volte.
Hai analizzato, sviscerato e ripetuto ogni parola detta, ogni sospiro, ogni porta in faccia. Hai dato risposte a domande che lui non si è neppure mai posto e sei ancora qui.
Sei encomiabile? Sei determinata? O, forse, sei ancora una volta vittima di te stessa e delle tue strategie?
Non puoi amare un uomo che non è emotivamente pronto all’amore. Non puoi perché, non importa cosa farai, quante lune gli porterai, quanti pianeti farai ruotare intorno alla sua fragile esistenza, sarai sempre sola in quella relazione. Sarà sempre una strada a senso unico.
Guarda, invece, dentro il tuo cuore, senza vergogna, senza paura, sii coraggiosa, sii tu la tua salvatrice e poniti l’unica domanda che importa farsi:

“Quale parte di me vuole così disperatamente quest’uomo”?
E troverai la stessa risposta che eviti così accuratamente. È la parte di te ferita. La bambina impertinente che piange e ha paura di essere abbandonata. Ancora.
È tutto lì. È la paura di non essere scelta che prende il sopravvento e ti incatena a un sentimento che non ti fa vivere. L’amore che nutri per quest’uomo è tutto lì. Non è amore, è altro. Per certi versi è molto più forte dell’amore. È il demone con cui devi fare i conti. I guerrieri, però, i demoni li ammazzano e poi ballano sulle loro tombe, sorella mia.

La relazione con te stessa, è l’unica relazione alla quale vale la pena non smettere mai di lavorare.
Hai il dovere verso te stessa e verso la tua vita di essere una donna integra.
Le nostre emozioni sono spaventosamente potenti, possono stordirci. Di fatto, lo fanno. È importante imparare a non lasciare che guidino le nostre esistenze. È importante imparare ad osservarle, guardarle da vicino sotto un microscopio e catalogarle in sentimenti, ma è ancora più importante ricordare che i sentimenti, sono emozioni, non fatti. Sono responsi emozionali alle circostanze della nostra esistenza. Non importa quanto sembrino reali, dappertutto nel tuo corpo. Tu guardali e ricordati che la sensazione che stai sentendo, probabilmente, viene dal passato che non hai metabolizzato, dall’incertezza del futuro, forse da errate interpretazioni comunicative col soggetto coinvolto, ma sono emozioni. Non sono fatti.
Il grosso del lavoro è capire come reagire alle emozioni e come rimanere fermi nella consapevolezza di sé.
Non vali di meno di quel che sei perché lui non ti ama.
Esci da questa paranoia. Non sei quel che vede lui. Infatti, con ogni probabilità, lui non ti vede. Vede solo sé stesso ed è nel pieno diritto di farlo.
Spesso finiamo per ingannare noi stessi per non sentire il disagio.
Per non sentire che siamo stati di nuovo abbandonati, che non siamo amati, che non siamo all’altezza, decidiamo di non sentire affatto e ci abbarbichiamo in relazioni a senso unico che ci faranno solo più male, perché quel vuoto, quell’assenza di amore, quel non sentire supporto in un abbraccio, in uno sguardo, torneranno a ricordarti che sei a rincorrere le farfalle. Non sei nella relazione che meriti. Non sei nella relazione che vuoi.

Se un uomo ti dice che non può impegnarsi, credigli.
Se un uomo ti dice che non ti ama, credigli.
Se un uomo ti dice che può fare a meno di te, credigli.

Non è necessariamente vero che voglia ferirti, forse sta provando ad essere onesto.
Non è necessariamente vero che voglia ferirti, forse sta solo facendo i conti col suo dolore. È compito suo. Non tuo. Tutto quello che avevi, anche di più, glielo hai già dato. È nascosto da qualche parte dentro lui. Forse lo troverà, più verosimilmente, non lo cercherà più e lo dimenticherà.

Tuttavia la verità è che fino a quando quest’uomo non farà un vero lavoro di crescita interiore, di risoluzione seria dei propri traumi, le sue azioni saranno sempre egoiste e prive di qualsiasi premura nei tuoi riguardi.

È tuo compito, di nessun altro, nutrire la parte di te che ha bisogno di amore.
Sii il tuo lupo, sii saggia, sii tua madre e ricorda che essere amata è un tuo diritto. Ricorda che l’amore è un luogo sicuro, non un posto di segnali caotici dove ogni azione può essere tutto ed il suo contrario. Se devi interpretare quel che ti dice, vuol dire che non ti sta dicendo nulla.

A volte la persona che desideri di più nella tua vita, è l’unica dalla quale devi stare alla larga.
La chiamano vita, amica e, a volte, fa davvero male da morire.